Recovery Fund – L’emergenza , i piani, la svolta

Il seguito della riflessione di Antonio Zucaro – pubblicata sul sito Demosfera sulla gestione italiana del Recovery Fund: in un precedente intervento (vedi qui) erano esposti i punti di caduta istituzionali che minacciano il buon esito dell’utilizzo dei Fondi. In questo secondo intervento si avanzano proposte di merito su obiettivi utili ei nterventi possibili.


L’emergenza, il Piano, la svolta.

La Presidenza del consiglio ha pubblicato le “Linee guida per la definizione del Piano di ripresa e resilienza” sull’utilizzazione delle risorse messe a disposizione dalla Unione Europea. Documento complesso e di grande importanza per diversi aspetti, già oggetto di valutazioni, per lo più critiche, da parte di commentatori e forze politiche, che pubblichiamo su Demosfera – Spazio equità fiscale, e sul quale sembra opportuno allargare il più possibile la discussione.

Una prima considerazione riguarda l’inserimento del termine “resilienza” come obiettivo generale del Piano in aggiunta alla “ripresa”, nella traduzione letterale della “Recovery and resilience facility”, titolo del provvedimento del Consiglio europeo che ci ha assegnato i 191 miliardi di euro del “Recovery Fund”. Resilienza, in generale, è la capacità di un materiale, di una persona, di una comunità di assorbire uno shock. Nelle Linee guida è previsto, tra gli obiettivi di lungo termine, il rafforzamento della “sicurezza e della resilienza del Paese a fronte di calamità naturali, cambiamenti climatici e crisi epidemiche”. È la presa d’atto che nel futuro ci attendono altri shock analoghi all’attuale, e l’esperienza degli ultimi vent’anni ci consente di aggiungere alle tre categorie di eventi critici anche le guerre, le crisi finanziarie, le ondate migratorie. In altri termini, comincia ad emergere nei ceti dirigenti la consapevolezza di essere in una nuova fase della storia dell’umanità, nella quale i rischi, anche seri, sono presenti almeno quanto le opportunità di miglioramento. E questa consapevolezza è già una novità positiva.

La seconda novità positiva è che viene proposto un Piano, ovvero un insieme di interventi pubblici per affrontare la crisi, predisposto dal Governo, discusso dal Parlamento e poi, auspicabilmente, realizzato dagli organi competenti. Rilevante novità rispetto alla prassi consolidata di interventi scoordinati, occasionali, on demand, nelle (poche) leggi di iniziativa parlamentare e nelle (troppe) leggi prodotte dal Governo, a cominciare dalle leggi di Bilancio.

Rilevate le novità positive, tuttavia, emergono i limiti del documento. Il primo problema, già rilevato da alcuni commentatori, è che queste Linee non disegnano un insieme davvero coordinato di interventi, quanto piuttosto una elencazione di esigenze, una lista della spesa con luci, ombre, ambiguità. I vari obiettivi e missioni, spesso definiti in termini generici o ambivalenti, non sono aggregati lungo assi politici che consentano di definire scale di priorità ai fini della ripartizione della spesa. È così che si disegna un Piano, altrimenti si torna ad un assemblaggio scoordinato di risposte offerte ai diversi interlocutori politici e sociali, disorganico e perciò poco efficace a livello generale.

Per realizzare la svolta necessaria alla vita del Paese gli assi da individuare con chiarezza sono due, la difesa dell’ambiente ed il contrasto alle disuguaglianze. Si tratta delle grandi fratture prodottesi negli ultimi decenni a livello globale e in particolare nel nostro Paese. Questa valutazione, anche se con diverse sfumature, è condivisa dalla parte migliore dell’intellettualità mondiale, compreso Papa Francesco. Nelle Linee guida, tuttavia, la difesa dell’ambiente è in rilievo ma citata a tratti, mentre il contrasto alle disuguaglianze è solo accennato con perifrasi e rinvii. E questa è la criticità maggiore. Un Piano che sia orientato su ambiente e disuguaglianze richiede la ridefinizione di obiettivi, missioni ed interventi, stabilendo collegamenti e sinergie, per poi assegnare a ciascuno di questi le risorse finanziarie ed amministrative necessarie alla sua realizzazione. Oltre che nel Piano, l’indirizzo così ridisegnato deve trovare un primo momento di attuazione nella legge di Bilancio 2021, il cui iter sta per partire, e dovrà improntare le diverse politiche di supporto citate dalle Linee guida, a cominciare dalla riforma del fisco. È possibile realizzarlo nell’ambito delle raccomandazioni generali rivolteci dall’ Unione europea, anzi per alcune questioni ne agevola il rispetto.

Per comprendere come questo disegno complessivo potrebbe essere realizzato in concreto sembra opportuno sbozzare alcune questioni, sia pure a colpi d’accetta, per ragioni di brevità.

Sull’ambiente, vanno stabiliti collegamenti forti tra la missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e le missioni successive sulla “Competitività del sistema produttivo” e “Infrastrutture per la mobilità”, per definire delle scale di priorità ai fini della spesa e delle modalità di intervento. In concreto, tutte le attività produttive, industriali, agroalimentari, turistiche, andrebbero classificate rispetto alla salvaguardia ambientale in dannose, neutre, vantaggiose. I vari obiettivi ed interventi andrebbero indirizzati e calibrati per favorire le une e scoraggiare le altre, intrecciando questa discriminante con i criteri di valutazione positiva e negativa previsti dalle Linee. In estrema sintesi e ad esempio, i denari alle industrie inquinanti, o ai grandi allevamenti di bestiame, vanno dati per la riconversione delle attività inquinanti e non per tenere in piedi quello che c’è. Analogamente, per le infrastrutture e la mobilità tutti gli obiettivi e gli interventi andrebbero ridefiniti, calibrati ed indirizzati in base all’impatto ambientale, immediato e di prospettiva. Sempre ad esempio, “mobilità pubblica e privata ad impatto ambientale sostenibile” dovrebbe significare che per le autostrade si fa solo manutenzione, anche straordinaria, ed invece vanno prodotti massicci interventi sulle ferrovie locali.

Sul contrasto alle disuguaglianze sociali, territoriali, di genere, d’età, occorre in primo luogo assumerlo esplicitamente come asse politico del disegno complessivo. Non si tratta di una forzatura ideologica, ma di un’esigenza fondamentale sia per la ripresa che per la resilienza della nostra società. Al riguardo, è chiaro che non è solo questione di distribuzione di risorse o di opportunità, che comunque hanno un costo, ma anche della provenienza di queste e dunque del loro ammontare complessivo, che non può essere affidata solo all’aumento del debito. Anche perché l’U.E. ci chiede di assicurare comunque la sostenibilità di questo. Di qui, la centralità della riforma del Fisco, prevista dalle Linee guida nell’ambito delle Politiche di supporto. In particolare, la “Riduzione del cuneo fiscale sul lavoro attraverso la riforma dell’IRPEF in senso progressivo” e il “Miglioramento dell’equità, efficienza e trasparenza del sistema tributario” non possono coprirsi solo col “Contrasto all’evasione fiscale”, ripetuto anche in questo documento. L’esperienza passata ci insegna che, se realizzato, questo obiettivo può significare maggiori entrate per alcuni miliardi, comunque meno di venti. Di fronte alle voragini che si vanno allargando è evidente che alcuni miliardi non bastano. Vanno considerate, perciò, anche altre misure, più radicali e più incisive. Cominciando dalla base imponibile dell’IRPEF, imposta progressiva concepita come onnicomprensiva ma oggi limitata ai soli redditi da lavoro per l’esclusione dei vari redditi derivanti dal patrimonio (affitto di immobili, dividendi azionari, interessi bancari). È possibile recuperare alla progressività la tassazione di questi redditi, oggi accarezzati da aliquote fisse (e basse), ribaltando la narrazione sulla flat tax. Su questa linea, si pone poi la questione di una revisione delle aliquote IRPEF, con l’istituzione di nuovi scaglioni con aliquote maggiorate sui redditi molto elevati per finanziare la riduzione delle aliquote per gli scaglioni più bassi, già prevista nelle Linee guida. Infine, va rimessa in campo la tassazione delle grandi ricchezze e sulle grandi eredità, più o meno da un milione in su. L’insieme potrebbe portare un ammontare di risorse anche superiore ai cento miliardi all’anno, limando le ricchezze di una esigua minoranza della popolazione, inferiore al dieci per cento. Si tratta di una questione assolutamente centrale, finora trascurata dalle forze progressiste per insipienza, pavidità o subalternità, che in questa situazione di crisi strutturale è necessario tornare ad affrontare, se si vuole incidere strutturalmente sulle disuguaglianze ed insieme sviluppare in modo massiccio gli investimenti sulla difesa dell’ambiente.

 

Articoli Recenti Relativi