La fonte storica di una riforma mancata: la programmazione strategica delle azioni della PA

Si era alla fine degli anni ’60 e l’Italia era ormai immersa nella cupa dimensione della strategia della tensione e del terrorismo, che l’avrebbero pervasa per oltre un decennio. Eppure un nucleo (sparuto ma autorevole) di riformisti operava ancora alla Segreteria della Programmazione e all’ISPE intorno alla persona di Giorgio Ruffolo e dell’ipotesi generale di “programmazione economica” che quel gruppo propugnava inascoltato dall’epoca del primo governo Moro del 1963. In quel gruppo militava anche il prof. Franco Archibugi, direttore del Centro di Studi e Piani economici, che estendeva il concetto di programmazione oltre l’ambito strettamente economico, teorizzando altri due tipi di programmazione: 1. la programmazione cosiddetta “societale”, che mutuava dal pensiero dei premi Nobel Ragnar Frisch, Nicolas Tinbergen e Vassilly Leontief un’impostazione del benessere non limitata ai soli indicatori economici, ma legata anche ad indicatori espressione della qualità di vita delle persone (chiara premonizione degli attuali indicatori BES); 2. la programmazione strategica (strategic planning) che mutuava dalle esperienze allora in corso presso l’amministrazione U.S.A. un metodo di organizzazione del lavoro dei pubblici uffici basato sulla fissazione di obiettivi generali di attività, sulla conseguente predisposizione di programmi di attività e, infine, sull’allocazione delle poste di bilancio statale autorizzate per finanziare i progetti predisposti dalle amministrazioni; ognuno di questi progetti doveva essere corredato dalla predisposizione di indicatori di risultato che avrebbero consentito di valutare i risultati conseguiti e l’efficacia delle performance degli uffici. Fu per l’amministrazione federale degli Stati Uniti l’operazione chiamata Planning, Programming, Budgeting System  – PPBS, il cui più convinto sostenitore fu Jack Carlson vice direttore dell’ufficio (oggi OMB) che predispone il bilancio federale che il Presidente presenta al Congresso. Chi voglia approfondire questi concetti potrà leggere le parti introduttive del testo “Da burocrate a manager” – Rubettino, 2008. Va, infine, ricordato che l’applicazione pratica del PPBS negli Stati Uniti avvenne a macchia di leopardo fra le diverse amministrazioni, per il motivo fondamentale della difficoltà di reperire dati e informazioni statistiche sui mille rivoli d’interesse che i vari progetti toccavano: non era ancora “esplosa” l’era di internet e del conseguente potenziamento esponenziale delle fonti di reperimento dei dati.

Quale fu l’idea di Archibugi dopo un viaggio di studi a Washington e in altri Stati che applicavano il PPBS? Quella di predisporre per l’ISPE (Istituto di Studi per la Programmazione Economica, oggi estinto) nel maggio 1970 un rapporto circostanziato che proponeva di adottare tale sistema per la predisposizione del bilancio dello Stato italiano: lo chiamò “Rapporto sull’introduzione di un sistema di PROGRAMMAZIONE DI BILANCIO in Italia“. Siamo oggi in condizioni, su autorizzazione della famiglia,  di pubblicare in web quello studio (nella sua riedizione del 1987), che riveste sicuro valore di fonte storica.

E’ stupefacente notare come tutto l’impianto di quel lavoro corrisponda, anche nei particolari, ai principi e alle modalità pratiche che sarebbero state adottate venti/trenta anni dopo dall’amministrazione federale U.S.A. con la riforma Gore-Clinton (vedi qui) e dalla Francia con la LOLF, riforma del bilancio statale (vedi qui). Corrispondono precisamente l’impianto generale della programmazione strategica (sopra accennato), i concetti di “obiettivi” e “programmi”, persino l’esemplificazione degli indicatori (pag. 70 e seguenti) che ritroviamo oggi nei “Blues Budgetaires” francesi. Per il lettore poco interessato alle burocrazie dei paesi occidentali avanzati è il caso di ricordare che le due riforme sopra ricordate hanno consentito un deciso salto di qualità delle burocrazie statunitense e francese (senza dimenticare quella inglese) in direzione di una gestione manageriale degli uffici pubblici e che diversi spunti sono stati rubacchiati qui e là dalla legislazione italiana senza un serio approccio sistematico. Il nostro Paese, nell’anno di grazia 2023, nonostante le enunciazioni della legge n. 196/2009 – bilancio per missioni e programmi, rimane al palo, sia dal punto di vista dell’esposizione delle poste di bilancio in termini di obiettivi da finanziare, sia in termini di indicatori di performance, sia, sopratutto, in relazione alla mancanza di un’autorità indipendente a supporto del Parlamento in grado di dirigere e controllare le varie amministrazioni quanto alla fissazione degli obiettivi di performance e degli indicatori significativi di risultato (si veda qui specificamente il confronto fra la valutazione delle pp. aa. in U.S.A., Francia e Italia).

E il lungimirante professor Archibugi? Egli non cessò mai di dolersi che “il mio studio per l’ISPE cercò di sollecitare un’adeguata attenzione presso l’amministrazione e la politica italiana su queste tendenze, ma non arrivò a interessare nessuno e fu messo nel cassetto”.   Osservava ancora che “l’introduzione di un sistema di questo tipo anche in Italia avrebbe creato con molti anni di anticipo delle opportunità di rinnovare i metodi di controllo della spesa pubblica e migliorare la consapevolezza di politici e dirigenti della PA sulla efficacia e i risultati dei loro programmi. Quel sistema ebbe molte difficoltà ad essere introdotto anche negli Usa; ed è solo recentemente che con la legge GPRA (del 1993) si sono create su larga scala le condizioni per la applicazione della pianificazione strategica in quel paese”.

Il prof. Archibugi, venuto a mancare nello scorso 2020 a novantaquattro anni, riposi tranquillo: egli appartiene a ottimo titolo all’esile schiera dei riformatori veri della burocrazia italiana che, dall’Unità d’Italia a oggi, nessuno ha voluto ascoltare.

Giuseppe Beato

 Archibugi  1970 – Rapporto su pgrammazione di bilancio in Italia

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