Le belle fiabe sull’informatica pubblica

Fra le recenti proposte di innovazione della pubblica amministrazione, in vista dell’emanazione di un prossimo decreto legislativo, figurano in prima linea – oltre alle ben note misure di “semplificazione” quali gli ennesimi ritocchi alla regolazione dell’autocertificazione e delle conferenze dei servizi- la digitalizzazione come misura principe per il rilancio e l’efficienza delle amministrazioni pubbliche. 

Non ci sono argomenti contrari possibili a fronte dell‘enunciazione entusiasta di questo bel principio! Sia il Piano Colao che gli Stati generali hanno configurato i contorni di questa grande operazione: sul “piano di rilancio dell’Italia” figurava in grande spolvero  l’articolazione dei progetti di digitalizzazione nella pubblica amministrazione:

  • Garantire l’interoperabilità delle banche dati della Pubblica Amministrazione secondo il principio once only.
  • Razionalizzazione dei data center e ampliamento dell’uso del cloud computing per le pubbliche amministrazioni che non ne dispongono, garantendo la titolarità del dato in mano pubblica Creazione di un portale unico dell’impresa.
  • Progetto “sistema conoscitivo aperto” che raccolga, sistematizzi e finalizzi i dati già disponibili presso le diverse pubbliche amministrazioni per consentire il monitoraggio delle politiche pubbliche.
  • Realizzazione di un polo strategico nazionale per le infrastrutture digitali (dati e servizi critici).
  • Sviluppo di un sistema di API (Application programming interface) nelle amministrazioni per consentire l’accesso alle banche dati di interesse nazionale.
  • Rendere vincolante l’obbligatorietà dell’adesione delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici alle infrastrutture abilitanti (ANPR, IO, PagoPa, Spid, Domicilio digitale).
  • Obbligo di offrire tutti i servizi all’utente finale in digitale;
  • Connettere con banda ultralarga le pubbliche amministrazioni e i concessionari di servizi pubblici.

Once Only, cloud computing,  Application programming interface, ANPR, oltre ai già noti Blockchain, Big data, E-procurement!!!!! Sono modi di presentare le cose che farebbero impallidire il Don Abbondio manzoniano!! Il lettore o ascoltatore guarda perplesso e intimidito ai latinorum lanciati dai grandi fornitori informatici privati e tace…. Noi ci accontentiamo, invece, di fare un pò d’ordine in queste esternazioni da banditori, da una parte segnalando documenti governativi ufficiali – esistenti da un lustro – che hanno delineato strategia e piani per l’informatica e dall’altra parte, decisiva, portando ad evidenza l’aspetto cardine della questione informatica nella pubblica amministrazione: la totale mancanza di professionalità informatiche interne alle pubbliche amministrazioni che riducono le stesse ad una condizione di “rimorchio” delle aziende informatiche esterne che gestiscono incontrollate  i dati e le procedure pubbliche.

Per quanto riguarda il primo aspetto, tutti i recenti “piani” governativi (o rassegne delle buone intenzioni) hanno omesso di segnalare che la Repubblica italiana dispone dall’anno 2015 di una “Strategia per la crescita digitale 2014-2020” (vedi qui) che definiva e articolava tutte le iniziative previste per la digitalizzazione del Paese e che nei recenti documenti vengono solo richiamati “per titoli”: sarebbe saggio quindi riferirsi non solo a tale documento, ma anche ai due Piani triennali per l’informatica nella pubblica amministrazione per il triennio 2017-2019 (vedi qui) e per il triennio 2019-2012 (vedi qui): ambedue questi documenti sono stati predisposti dall’Agenzia per l’Italia digitale (AG.I.D.) e approvati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (l’ultimo nel marzo 2019- vedi). Ci chiediamo: perchè ritornare su questi temi come se si presentassero solo oggi all’attenzione del Governo, invece che dar loro sollecita ed effettiva attuazione?

Il punto vero dell’informatica nelle pubbliche amministrazioni non è comunque questo e gli araldi della digitalizzazione integrale dimenticano (o fingono di dimenticare)   di mettere al centro di qualunque serio programma di sviluppo informatico pubblico la quasi totale e assoluta mancanza di professionalità interne alle pubbliche amministrazioni, in condizione di poter gestire il preponderante profilo informatico di tutti le procedure amministrative nell’ottica dell’interesse generale e senza essere tecnicamente condizionati dal know how esterno dei fornitori informatici.

Non siamo solo noi a segnalare questa anomalia esiziale, ma è stata la Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni che nelle sue conclusioni dl 26 ottobre 2017 (vedi qui) ha affermato senza mezzi termini: “Dalle audizioni emerge più volte che mancano le competenze interne e l’amministrazione sceglie di fare ampio ricorso al mercato. L’analisi dei curricula dei responsabili della transizione alla modalità operativa digitale rende difficile affermare che il comma 1-ter dell’articolo 17 del CAD sia rispettato, e cioè che “il responsabile dell’ufficio (…) è dotato di adeguate competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali”, in alcuni casi per stessa ammissione dei responsabili durante le audizioni. (pag 154)….E’ opportuno sottolineare come risulti urgente e non più procrastinabile un adeguamento delle competenze del personale (non solo) dirigenziale della PA, sia attraverso un massiccio investimento in formazione, sia attraverso una ineludibile immissione di nuovo personale, soprattutto nei livelli apicali. Il tentativo di istituire la figura di Chief Digital Officer “a costo zero” è chiaramente fallito. È di tutta evidenza che le figure necessarie non sono presenti all’interno della PA, nonostante, come detto, la normativa prevedesse figure analoghe sin dal 1993 e quindi non vi è alcuna giustificazione per una mancata politica di assunzione in quasi 25 anni. Il costo, però, di un protrarsi della mancanza di giuste competenze nei livelli apicali, con la conseguente esternalizzazione del know-how e l’impossibilità di una reale interlocuzione tra pari con i fornitori, è un costo di gran lunga superiore a quello necessario ad una deroga del blocco delle assunzioni per figure con adeguate competenze tecnologiche, manageriali e di informatica giuridica. È inutile ricordare che i costi della mancata transizione alla modalità operativa digitale sono stimabili in miliardi di euro e non è pensabile continuare a sostenerli a causa di una visione miope che pretende di operare una tale trasformazione senza avere la risorsa più importante in questo processo: il capitale umano.” (pag 156).

Le osservazioni della Commissione parlamentare vengono sovente fatte oggetto di una lettura che confonde il concetto di competenze digitali, orientandone il significato solo sulle competenze generiche che l’impiegato pubblico deve possedere in quanto utente delle procedure. Quest’impostazione lascia impregiudicata l’accezione fondamentale delle competenze digitali: la dotazione di risorse umane professionalizzate, interne alle pubbliche amministrazioni, che siano in grado di comprendere, governare, interfacciare, gestire i processi informatici introdotti nelle rispettive amministrazioni. Il mancato reclutamento di massicce dotazione di professionalità informatiche interne avvenuto negli ultimi 20 anni ha ridotto le amministrazioni pubbliche al ruolo di utenti disinformati delle società fornitrici, sprovviste di capacità di valutare qualità e costi dei servizi informatici offerti: questo mancanza è contraria agli interessi generali della collettività nazionale e rende oggettivamente le amministrazioni pubbliche ostaggi di soggetti esterni che vengono ad essere i titolari e unici conoscitori delle modalità di gestione di procedimenti amministrativi pubblici.

Non è qui in campo la legittimità dei fini di profitto perseguiti dalle imprese fornitrici di servizi informatici. Ciò che è colposamente latitante è il perseguimento degli interessi generali che la parte pubblica ha – avrebbe – l’obbligo di perseguire. La mancanza di risorse professionali informatiche interne – come chiaramente evidenziato in uno scritto recente di Antonio Zucaro (vedi qui) – rende la pubblica amministrazione quando fa contratti “contraente debole. Quando negozia un contratto con un altro soggetto per ottenerne una prestazione, la maggior parte dei contenuti contrattuali e della stessa definizione del servizio viene lasciata alla controparte, che così ha ampie possibilità di configurare il contratto a misura delle proprie possibilità ed esigenze, per realizzare il massimo profitto al minor costo possibile. Il che, per una impresa privata, è assolutamente naturale. La distorsione sta nel fatto che la debolezza contrattuale degli apparati pubblici deriva da operazioni di condizionamento politico esercitate sugli organi di vertice delle amministrazioni dai soggetti contrattuali forti, in vari modi e per diversi canali, comunque alle spalle del tavolo negoziale. Questi condizionamenti si intrecciano, in generale, con la scarsa capacità degli apparati di valutare tecnicamente le diverse situazioni ed opzioni, ovvero i presupposti e i contenuti della trattativa, troppo spesso affidati agli esperti della controparte. Queste considerazioni valgono in generale ed anche per l’acquisizione e l’impiego di ICT nelle amministrazioni. In questo campo, inoltre, emerge un’altra grande distorsione, ovvero la tendenza degli apparati ad impiegare la digitalizzazione per scaricare sui cittadini sequenze di adempimenti istruttori risolvibili altrimenti per linee interne. In altri termini, per evitare di mettere in discussione l’organizzazione interna ci si è concentrati sulfront officeinvece che sulback office. L’altra questione di fondo, infatti, è quella della disarticolazione dei sistemi informativi, per cui ciascun apparato, più o meno grande, si è dotato di un proprio sistema. Comprensibile agli inizi del processo di informatizzazione delle amministrazioni, anche per l’interesse delle imprese fornitrici dei servizi, questa tendenza oggi è diventata una distorsione che compromette il rapporto con il pubblico.”

Le osservazioni qui sopra esposte intendono costituire una lettura scevra da inutili entusiasmi sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’informatica pubblica, così come piace  comunicare ai grandi player privati e ai loro araldi sapientemente collocati in zone d’appoggio propagandistico. La vera questione della digitalizzazione dell’informatica pubblica è rappresentata dalla professionalizzazione informatica interna delle amministrazioni pubbliche, fondamentale condizione del successo delle politiche di digitalizzazione e di reale salvaguardia degli interessi generali della collettività nazionale.

Giuseppe Beato

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