La post-pandettistica e i suoi lontani bagliori

Post-pandettistica è un termine che affascina i cultori del diritto amministrativo, ma poco dice ai più. Tuttavia, la curiosità emerge prepotente al solo pensiero che quella lontana corrente dottrinaria, che si affermò nell’Italia liberale di fine ‘800 – soprattutto attraverso gli studi di Vittorio Emanuele Orlando e Oreste Ranelletti – riuscì a permeare dei propri principi la pubblica amministrazione italiana nei primi decenni del XX secolo, durante tutto il fascismo e nel secondo dopoguerra fino a tutti gli anni ’80.

Fu  V. E. Orlando a fondare quella scuola, pubblicando  i Principi di diritto costituzionale nel 1889 e i Principi di diritto amministrativo nel 1890. Egli plasmò i concetti di sovranità, di negozio giuridico pubblico, di gestione gerarchica, distinzione tra ordine politico e ordine giuridico, affermazione della personalità giuridica dello Stato,  teoria del governo di gabinetto, che furono alla base di una costruzione dottrinaria che attingeva alla pandettistica tedesca del 1800, la quale, a propria volta, aveva “restituito” al mondo del diritto civile germanico gli antichi principi e concetti base del diritto romano giustinianeo. Da quel momento qualunque studente di diritto, qualunque giudice amministrativo, qualunque funzionario pubblico operò facendo riferimento ai concetti cardine elaborati in epoca liberale, così come declinati nei trattati e nei manuali di diritto amministrativo.

Orlando fu maestro di Santi Romano (presidente del Consiglio di Stato in epoca fascista), Santi Romano fu maestro Di Guido Zanobini e quest’ultimo lo fu di Massimo Severo Giannini. I primi tre nomi simbolizzano una continuità di pensiero e di “ideologia” dello Stato e di gestione degli uffici pubblici – principio di autorità, gerarchia, persona giuridica dello Stato (e dei Ministeri) sovrano della pubblica amministrazione, separatezza del regime giuridico di lavoro da quella delle imprese private – che non fu minimamente scalfita né in tempo di regime fascista, né nel secondo dopoguerra, con il corso della cosiddetta “prima repubblica”. Fu proprio l’ultimo dei quattro maestri, Giannini, a fare i conti con una realtà economica, sociale e istituzionale profondamente mutata: di questa “conversione” al mondo nuovo emerso ci rimane in eredità fra i tanti il  famosissimo saggio  “lo Stato pluriclasse”  (clicca qui per leggere). Giannini fece anche i conti con il passato del diritto amministrativo, pubblicando i due studi che qui riproduciamo dalla raccolta a cura di Sabino Cassese “Massimo Severo Giannini” – 2010 edizioni Laterza: “Guido Zanobini e la postpandettistica” e “Il torpore della scienza giuridica negli anni ’70” – clicca qui.

Gli anni ’90 erano alle porte! … e con loro una nuova corrente dottrinaria che faceva capo agli studi di Mario Rusciano e, ancor più, di Massimo D’Antona che intese esplicitamente travolgere la dottrina del diritto amministrativo come branca giuridica separata dalle altre: nell’incipit del suo lavoro più significativo sulla seconda privatizzazione del lavoro pubblico (vedi qui) – da lui concepita con l’allora Ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini –  egli stigmatizzava del diritto amministrativo “i caratteri di un ordinamento speciale, interamente separato dal diritto comune, si può dire – secondo la felice immagine dello storico Hobswam – che la vicenda del pubblico impiego si è consumata in un “secolo breve” aperto e chiuso nel corso del novecento“. Le leggi Bassanini in effetti costituivano per lui “il definitivo superamento della specialità del pubblico impiego“. 

Se in quell’occasione si sia “buttato via il bambino con l’acqua sporca” è questione ancora oggi aperta (si veda qui), tuttavia la svolta legislativa degli anni ’90 ha profondamente modificato i tratti della burocrazia del nostro Paese. In meglio?

Giuseppe Beato

Guido Zanobini e la post-pandettistica” di Massimo Severo Giannini 1965

Articoli Recenti Relativi