I meccanismi del “check and balance” nello scontro fra Trump e il capo del FBI

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Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha licenziato quattro giorni fa il Capo del FBI James Comey esercitando così un suo potere classico di rimozione “at the pleasure” – attivabile in ogni momento del suo mandato – come previsto dalla Carta costituzionale e dalle leggi federali. E’ interessante, tuttavia, scoprire la trama istituzionale che regola lo scontro fra Capo dell’Esecutivo e un vertice dell’Amministrazione federale.

Il potere di rimozione può essere esercitato dal Presidente degli Stati Uniti nel contesto delle posizioni di responsabilità a nomina fiduciaria che qui da noi gli anglofili all’amatriciana (con tutto il rispetto per l’amatriciana) qualificano come “spoils system“, omettendo sempre di specificare che questo meccanismo – non conosciuto nemmeno più come tale nella sua terra d’origine – riguarda dall’anno 1883 solo  4000 figure amministrative su circa sui 2 milioni e 600mila di dipendenti pubblici federali (vedi qui meglio): delle posizioni a nomina fiduciaria, il potere di rimozione “ad nutum” riguarda solo le cariche strettamente politiche (Segretari di Stato e loro vice) e i vertici monocratici delle agenzie federali, (vedi qui l’elenco di circa 700 posti di responsabilità autorizzati dalle leggi U.S.A.). Di questi 700 posti, il potere di rimozione “at the pleasurenon può essere esercitato dal Presidente nei confronti dei membri dei Boards (tipo Securities and Exchange Commission) la durata del cui mandato è generalmente più lunga di quella del  suo.

Ma vediamo meglio il modo in cui il sistema di garanzie costituzionali statunitensi (check and balance, cioè dei “pesi e contrappesi”) riesce a evitare, sia uno sconfinamento nell’arbitrio parte del Presidente, sia comportamenti e atteggiamenti oltre il segno e fuori vincolo fiduciario da parte dei vertici amministrativi.

Innanzitutto James Comey doveva la sua nomina ad un atto presidenziale fiduciario, adottato da Barack Obama nel 2013 per un periodo previsto per legge in 10 anni. Il capo del Federal Bureau of Investigation  relaziona direttamente anche al Congresso degli Stati Uniti e senza l'”advice and consent” (parere e consenso) del Senato (art. 2, sez. II della Costituzione U.S.A. –vedi) Comey non avrebbe potuto essere immesso nella funzione.

La fiducia accordatagli da Obama con la nomina non ha impedito a Comey lo scorso ottobre di mettere sotto inchiesta Hillary Clinton, candidata alle elezioni a Presidente degli Stati Uniti, dello stesso partito del Presidente che lo aveva nominato: coraggio individuale? Opportunismo? Fatto sta che l’annuncio di quelle indagini a 10 giorni dal voto – vedi qui – é oggi ritenuto da tutti gli osservatori come una delle cause principali per cui una parte dell’elettorato americano spostò il proprio voto verso Trump. Sicuramente è possibile vedere nel gioco degli equilibri fra potere politico e vertice amministrativo una dialettica molto vivace, che consente al secondo di adottare decisioni di fortissimo impatto, senza necessità di alcuna autorizzazione del vertice politico.

Determinante anche il ruolo di controllo sulll’esecutivo ordinariamente svolto dal Congresso, che in quell’occasione chiamò più volte Comey a riferire sulle misure e sui risultati delle indagini cui l’FBI stava svolgendo. Lo stesso Comey – dopo aver definito in Commissione d’inchiesta come “estremamente superficiale” il comportamento della Clinton che aveva gestito i suoi contatti da Segretario di Stato utilizzando la propria mail personale e non quella d’ufficio – prese l’iniziativa di informare il Congresso pochi giorni prima delle elezioni presidenziali sul successivo filone d’indagine sullo stesso tema (vedi qui). Dal punto di vista dell’esercizio del ruolo – che qui interessa – vediamo pertanto un sistema che consente a un vertice “burocratico” di recitare un ruolo da “player” a diretto confronto con il Congresso degli Stati Uniti.

Lo stesso Comey avviò nel luglio 2016 un’indagine riservata sulle interferenze russe nella campagna elettorale USA (cosiddetto “Russiagate“), indagine continuata anche dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni del 4 novembre (vedi). Nel contesto di queste indagini, fu costretto a rassegnare le dimissioni il neo eletto Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn – da poco nominato da Trump – anche in seguito a rivelazioni del Washington Post (vedi qui).

Una tale vivacità d’azione, intraprendenza e autonomia di ruolo è impensabile qui da noi in Italia (pensiamo solo se un nostro Capo della Polizia si sognerebbe mai di esercitare il suo ruolo in modo simile!). Eppure, proprio il sistema dei “pesi e contrappesi” ha consentito al Presidente Trump di rimuovere 4 giorni fa James Comey, su due piedi, in seguito a dichiarazioni incaute fatte da quest’ultimo al Congresso (aveva affermato che la Clinton aveva “passato” al marito centinaia di email riservate, circostanza poi smentita dagli stessi uffici del FBI) e su proposta dell’Attorney General che valutava gli atti di Comey come non conformi a una regola che vuol a capo del FBI “qualcuno che segue le regole e i principi del Dipartimento di Giustizia”– vedi qui. La destituzione di Comey non ha mancato di sollevare un polverone enorme fra i democratici che temono che da ora vengano arenate le indagini sul Russiagate. C’è da giurare che il Senato degli Stati Uniti farà pesare al massimo livello politico il suo potere di veto ( “advice and consent” vedi sopra) sul successore che Trump nominerà a capo del FBI.

Come si vede, non siamo in presenza di un regime dittatoriale, ma di un concerto vivacissimo di voci che vede in campo Presidente degli Stati Uniti, Congresso, vertici di Agenzie governative (e molto spesso Corte Suprema) su questione massime di gestione dell’Ordinamento federale….. “E’ la democrazia (vera) bellezza!“, cioè quella cosa che ha consentito recentemente al Generale David Petraeus, eroe di guerra, ma costretto anche lui a dimettersi anni fa per uno scandalo a sfondo sessuale, di dichiarare: “Non ci saranno contraccolpi alla democrazia con la Presidenza Trump, perché gli Stati Uniti dispongono da due secoli di un sistema di “check and balance” capace di gestire qualunque crisi o sofferenza istituzionale“.

Giuseppe Beato.

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