Roma Mafia – Tre questioni di natura amministrativa.

Pubblica-amministrazione-la-riforma-di-Renzi_h_partb

Dallo scandalo Roma mafia, a proposito del quale l’evento futuro da temere su tutti è che venga progressivamente dimenticato e derubricato, emergono tre temi specifici riguardanti il funzionamento della pubblica amministrazione. Tali temi sono: 1) il controllo sugli atti degli Enti locali; 2) la confusione, elusione delle norme che regolano il lavoro pubblico (concorsi, assunzioni, rapporti di lavoro, controlli, bilanci, procedure d’appalto, spese in genere)  attraverso l‘esternalizazione di compiti istituzionali a società partecipate operanti in regime di diritto privato; 3) lo status giuridico dei dirigenti coinvolti nello scandalo.

In ciascuno di questi aspetti e in aggiunta alle misure legislative di natura squisitamente penale, riteniamo che, se fossero poste in campo le misure amministrative che noi proponiamo da tempo (vedi  “il sistema dei controlli di regolarità amministrativo contabile sulle Regioni e sui Comuni”) e che Cottarelli proponeva  (vedi su questo sito “Società partecipate -Il programma Cottarelli”), il “sistema  da sé solo ” sarebbe in condizioni ( lo sarebbe nell’immediato futuro) di offrire, prima dell’evoluzione in contesti penali, una maggiore resistenza alle iniziative di malaffare. Riguardo ai punti 1) e 2), invece, la realtà brutale è che – non solo a Roma – non esiste un sistema dei controlli sugli atti di Regioni ed Enti locali e Il Governo non sta ponendo mano (vedi Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 21 dicembre 2014) ad una radicale riduzione delle 8.000 spa proliferate all’ombra delle Autonomie locali.

Ancora più insidiosa e ormai palesemente in contrasto con la Carta costituzionale si presenta la questione dei dirigenti a tempo determinato assunti senza concorso. Il caso Odevaine al Comune di Roma (vedi sul sito “rilievoaiaceblogliveri” – “dirigenti a contratto fonti di illegalità”) è esemplificativo: gli enti locali hanno facoltà di assumere, in virtù dell’articolo 110 della Legge 267/2000 – quest’ultima disposizione è stata modificata dal recente decreto legge “Renzi”  (vedi lart. 11, comma 1, del D.L 90/2014 convertito in Legge 114/2014) – dirigenti a tempo determinato nella misura del 30% della dotazione organica dirigenziale . Con il che il Governo in carica ha letteralmente “sfondato” la misura della percentuale in deroga, prevista dal comma 6 dell’articolo 19 d. lgs. 165/2001 (10% dirigenti di prima fascia e 8% dirigenti di seconda fascia), al principio costituzionale dell’assunzione in una pubblica amministrazione mediante concorso pubblico. La Corte costituzionale ha “avallato” nel tempo il principio della “deroga”, nella presumibile convinzione che la limitatezza dei casi previsti  non turbasse il principio posto dall’articolo 97 Cost.. In ciò c’è un errore grave, secondo noi, perché era chiaro fin dall’inizio che, una volta riconosciuta come legittima una deroga generica al principio, sarebbe poi stato lecito aumentare a piacimento la percentuale di tale deroga. Con il 30% di dirigenti reclutabili “dalla strada” o magari dai “trombati” della politica (vedi.la Voce.info – Se i fedelissimi di partito diventano dirigenti di enti locali) si può tranquillamente affermare che è in pieno svolgimento un percorso di precarizzazione della dirigenza pubblica nel nostro Paese (vedi su questo sito l’intervento di Valerio Talamo sul regime giuridico degli incarichi dirigenziali – clicca qui) in perfetto contrasto con l’assetto ordinamentale  di Francia e Inghilterra, dove la pubblica amministrazione si fonda su una dirigenza stabile e autorevole. L’assunto perverso e demagogico, fatto proprio dal Governo Renzi, è quello che “l’inamovibilità del dirigente pubblico è alla radice di tutti le inefficenze della burocrazia”. L’inamovibilità della dirigenza pubblica non esiste più da almeno 15 anni e non pare la Pa sia cambiata in meglio. Dov’é questa inamovibilità Presidente? Ce lo dica…. Questo è un puro capovolgimento della realtà.

Giuseppe Beato

 

Articoli Recenti Relativi