Il dialogo fra il prof. Cassese e il ministro Zangrillo sulle terapie necessarie per innescare il “merito”.

 

    

Va letto con la massima attenzione lo scambio di tesi fra il prof. Sabino Cassese –  il più illustre studioso della burocrazia del nostro Paese – e il ministro Paolo Zangrillo, da poco responsabile nel Governo della nostra pubblica amministrazione. Ne diamo conto qui sotto riprendendo integralmente gli articoli da loro scritti negli ultimi giorni per “Il Corriere della Sera”.

Nel seguito ci permettiamo di aggiungere alcune osservazioni che cercano di focalizzarne il punto di crisi da una angolo di visuale diverso da quello segnalato nei due articoli. Ferma comunque restando la valutazione di fondo di “ammalato grave” della nostra bistrattata burocrazia e ferma l’individuazione del fattore più importante di crisi nella carenza di meritocrazia ( da ricordare qui che “Merit System” e’ qualificato nel codice delle leggi degli Stati Uniti l’apparato amministrativo federale – vedi) -.

Nelle sostanza la tesi proposta da Sabino Cassese è che la ricetta giusta per  restituire efficienza e professionalità alle amministrazioni pubbliche, specialmente nella scuola, non sia (tanto) quella di interventi massicci di assunzioni (operati il più delle volte, non a seguito di concorsi, ma attraverso  “sanatorie” di precari immessi precedentemente in servizio in modi “estemporanei”) quanto quella di  operare sui dipendenti pubblici già in servizio; con interventi per l’eliminazione dei controlli inutili, sulla formazione, sugli assetti retributivi oggettivamente poveri e su sistemi di carriera che premino i migliori. Insomma, esplicitamente Cassese riprende il pensiero di Francesco Saverio Nitti a favore dei “pochi e ben pagati”, in opposizione al modello “molti e malpagati”, da sempre più attrattivo per il ceto politico nostrano che in tal modo ha spesso lucrato elettoralmente favorendo immissioni di personale non dettate da reali esigenze funzionali. Il ministro Zangrillo, invece – sempre sull’onda del valore del “merito” – insiste sulla necessità di un’operazione massiccia di nuove assunzioni e lega l’obiettivo di recupero dell’efficienza degli uffici pubblici alla necessità di “valutare”  la dirigenza e il personale – formula magica con la quale da trent’anni si riempiono parecchi vuoti di idee nei convegni – attraverso “il superamento delle barriere che oggi ostacolano la misurazione dei risultati e la valorizzazione dei migliori talenti”.

Nel nostro piccolissimo ambito ci permettiamo di “chiosare dubitando” ambedue le “ricette” di guarigione offerte. Non ci convince la tesi – ci pare un po’ manichea – del prof. Cassese, tutta giocata sul “pochi e ben pagati”. Proprio il riferimento che egli fa nel suo articolo a una mancanza di strumenti statistici più raffinati per stimare precisamente il  fabbisogno di personale nelle diverse realtà amministrative costringe a ragionare “all’ingrosso”. Con alcune sicurezze tuttavia: mentre è ineccepibile l’osservazione in ordine a una minore necessità di insegnanti, causa la diminuita pressione demografica, il mondo sindacale più impegnato e consapevole lancia allarmi continui sulla clamorosa e  pericolosissima diminuzione di dirigenza medica e di personale nel Servizio Sanitario Nazionale. Anche sulle amministrazioni comunali è necessario distinguere: mentre i comuni grandi e medi si sono in molti casi “arrangiati” facendo ricorso a società partecipate, private solo formalmente ma sostanzialmente nuovi plessi di inefficienza pubblica, i piccoli comuni (meno di 5.000 abitanti) non hanno risorse per ricorrere a quegli strumenti e su di loro la mannaia del blocco ultra-decennale del turn over ha generato danni incalcolabili; è bene ricordare, infine, che i quasi 6.000 piccoli comuni in Italia gestiscono una popolazione di circa 10 milioni di connazionali. Nei plessi pubblici dove emerga con sicurezza una brutale decurtazione di risorse umane detentrici di patrimoni professionali decennali non c’è altra soluzione che l’effettuazione rapida di concorsi pubblici seriamente gestiti.

Per quanto riguarda l’auspicio del volenteroso ministro Zangrillo, è opportuno ricordargli che da più di trent’anni in questo Paese, leggi dello Stato, politici, sindacalisti, professori, esperti di management aziendale si affannano ad auspicare un deciso ricorso alla valutazione della dirigenza e dei dipendenti pubblici, lanciando strali (giustissimi) sul modo a volte ridicolo di scegliere i criteri di valutazione (vedi qui) e sulle valutazioni positive a pioggia su tutti i valutati, negazione stessa del concetto di merito. Qui vale ricordare semplicemente che le prassi non scritte, ma pienamente vigenti, di rapporto fra vertici politici, amministratori, sindacato e dirigenza portano – nel contesto attuale di distribuzione dei ruoli e dei poteri e nell’inesistenza di meccanismi di valutazione esterna capaci di annullare l’imperante autoreferenzialità delle pubbliche amministrazioni – all’annullamento di qualunque seria velleità di effettuare la valutazione dei singoli nella nostra burocrazia (si richiama qui una nostra analisi antica che cercava di descrivere il prodursi di una “complicità al ribasso” fra i soggetti citati).

Come introdurre allora merito e valutazione nella burocrazia italiana? Piccoli, piccoli come siamo diciamo la nostra. E’ sbagliato e inutile il concetto stesso di valutazione come è attualmente trattato dalle leggi, dai convegni e dagli articoli di dottrina in Italia. Manca una qualunque seria osservazione del funzionamento della burocrazie di altri paesi avanzati,  segno quest’ultimo di sterile presunzione. Tutti gli insegnamenti che provengono all’esperienza delle burocrazie U.S.A., inglese e francese convergono su pochi principi fondamentali: 1. per superare l’autoreferenzialità insita in qualunque burocrazia pubblica, sono necessari misurazioni oggettive e controlli effettuati da organi pubblici esterni – prima che sui singoli – sui risultati conseguiti dalle amministrazioni nel loro complesso; 2. questa funzione pubblica inesistente in Italia viene assolta negli altri paesi da organismi pubblici indipendenti i cui vertici sono inamovibili per tutta la (lunga) durata del loro mandato; 3. questi organismi indipendenti (per chiarire il Government Accountabillty Office (GAO) statunitense, il National Audit Office (NAO) inglese, la Corte dei Conti francese) sono a diretto riporto delle assemblee legislative nazionali che utilizzano le loro analisi e valutazioni obiettive  per le sintesi politiche ritenute più consone, soprattutto in occasione dell’esame del disegno di legge di bilancio; 4. nelle assemblee legislative di questi paesi la vigilanza sistematica sull’operato delle pubbliche amministrazioni è una funzione politica ritenuta di importanza pari a quella legislativa.

In Italia non c’è nulla di tutto questo. Ci sono solo gli “organismi indipendenti di valutazione” che dovrebbero valutare le performance complessive delle amministrazioni presso le quali esercitano: ma di indipendente hanno pochissimo, visto che i componenti sono designati dagli organi politico amministrativi delle amministrazioni che dovrebbero valutare e da questi ricevono i compensi. Gli oo.iivv. così come sono non servono a niente e non valuteranno mai un bel niente fino a quando non saranno trasformati in articolazioni di un’autorità nazionale indipendente che abbia poteri di prescrivere alle amministrazioni i criteri generali di valutazione da adottare e di imporne l’osservanza. Solo queste misure – è stato così dimostrato all’estero – sono capaci di innescare processi reali di incremento della meritocrazia. Perché puntano in alto, cioè alla zona precisa dove si vede se un pesce è buono oppure puzza.

Si scrivano bene le leggi e l’intendenza  – cioè i vertici politico – amministrativi delle amministrazioni e la  dirigenza – seguira’.

Giuseppe Beato

 Cassese – Lo Stato senza merito

 Zangrillo – il merito valore pubblico

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