L’Italiaccia di Giampaolo Pansa.

 Copertina Italiaccia

I nostri lettori sanno che sovente ci allontaniamo dai temi specifici della pubblica amministrazione per occuparci di “cosa pensano gli Italiani degli Italiani”…..in effetti si parla di questioni sottilmente affini, perché generalmente dalla capacità di coesione di una nazione nascono  amministrazioni pubbliche forti ed efficienti. Proseguiamo qui nella carrellata sui “giudizi su sé stessi”, richiamando l’ultima fatica editoriale di Giampaolo Pansa, uno dei protagonisti della nostra carta stampata, che da almeno 10 anni ha deciso di farsi beffe del “politically correct” preferendo la strada impervia, ma feconda, del “pensiero controcorrente” e della provocazione intellettuale. Con “Il sangue dei vinti” ha cercato di far traballere – “da ex di sinistra” – il mito della Resistenza (o meglio, il mito della Resistenza per quella parte di italiani – forse neanche maggioritaria – che questo mito ha sempre coltivato!!!). Con “l’Italiaccia senza pace” Pansa attacca un altro mito: quello del secondo dopoguerra come “epoca d’oro” di rinascita della democrazia e di slancio della società italiana. Tutto falso per Pansa: attraverso il filo conduttore della storia di una famiglia ebrea che cerca di scoprire il segreto della scomparsa del proprio padre, tradito e denunciato alla Gestapo da persone a lui vicine, e poi deportato ad Auschwitz, egli descrive l’ambiente di una provincia piemontese negli anni 1943-1949, delineando un affresco politico dominato da spietate lotte di parte, in cui  “De Gasperi incontrò il ministro degli Esteri francese, Georges Bidault, e gli presentò una richiesta che da sola testimoniava l’ asprezza dello scontro. E ottenne che, in caso di sconfitta della Dc, la Francia avrebbe accolto come rifugiati politici tutti i dirigenti del suo partito, famiglie comprese”….ma lasciamo descrivere proprio a Giampaolo Pansa, perché l’Italia è un’Italiaccia nella prefazione del volume pubblicata dal quotidiano “il Giornale” dello scorso 10 settembre 2015 e ripresa dal sito Dagospia.

Per parte nostra, osserviamo  con interessata curiosità il paralleo che Pansa traccia fra l’Italiaccia del ’46 e l‘Italiaccia di oggi, con un’aggravante ci pare: quello era un Paese distrutto e umiliato dalla guerra e, soprattutto, alla fine fu capace di fare le scelte giuste. Quello di adesso, invece, è un Paese forte economicamente, in grado di reggere qualunque sfida dal punto di vista delle intelligenze, della reattività costruttiva e della capacità di intraprendere, ma inaccettabilmente appesantito da un’amministrazione pubblica che dall’Unità non è mai stata “promotrice di sviluppo” ed è oggi  incapace di fornire quelle infrastrutture di base (scuola, ricerca, trasporti, giustizia efficiente, fisco, sistema delle licenze pubbliche) che consentono agli altri Paesi di investire sulle proprie capacità e talenti. Colpa dei burocrati? Anche. Colpa dei politici? Sicuramente…Ma non è pure in ballo proprio quello “spirito” che Pansa qualifica come “l’Italiaccia” e che noi potremmo tradurre in “individualismo”, “insofferenza alle regole”, “corporativismo radicato nelle menti di tutti”, “egoismo sociale”, perdita di quello “spirito della comunità” e “misericordia”, alla quale ci richiama sempre Papa Francesco? Varrebbe la pena di riflettere con serenità su questo.

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Gaimpaolo Pansa – Prefazione del libro “Italiaccia senza pace”