Buone letture sulla tematica dell’ambiente e sul ruolo delle istituzioni

La problematica ecologica, crisi che è «una conseguenza drammatica» dell’attività incontrollata dell’essere umano: «Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Anche la possibilità, «sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di […] una vera catastrofe ecologica». Non è Greta Thunberg che parla, ma Paolo VI, in discorso tenuto alla FAO nell’anno 1971.

Non si tratta qui di stabilire primazie storiche o di attribuire meriti, quanto dell’esigenza di ricentrare la materia della salvaguardia ambientale dentro contesti di cultura, d’informazione e di conoscenza, che supportino e superino gli entusiasmi passeggeri e le buone intenzioni, gradevoli ma poco concludenti:  la visione dei giovani – e di chiunque di noi – della sfida per la difesa dell’ambiente va arricchita in ottica storica e  approfondita di informazione, conoscenza, sostanza critica e consapevolezza delle problematiche drammatiche in campo da decenni. Con questo spirito consigliamo chi voglia di riferirsi a quattro testi fondamentali:

  1. il rapporto del Massachusetts Institute of Technology per il Club di Roma dell’anno 1972 (vedi qui la prefazione) denominato I limiti dello sviluppo“(facilmente reperibile on line), che fu caposcuola di questo tipo di studi e che all’epoca ricevette unanimi consensi a livello scientifico e di pubblico. Quasi 50 anni fa si prefiguravano scenari in tutto simili a quelli di cui è pieno il dibattito attuale: già questo in sé dovrebbe generare forti perplessità, sospetti e conseguenti conclusioni sui motivi per i quali le genti del mondo siano nelle stesse ambasce mezzo secolo dopo;
  2.  Le vicende della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climaticiclicca qui – adottata a Rio de Janeiro nell’anno 1992 alla conclusione di summit organizzato dall’ONU che diede l’avvio agli appuntamenti  delle Conferenze delle Parti (COP) che si tengono annualmente in varie capitali del mondo. Di grande rilievo la COP- 21 di Parigi del 2015 nella quale si concluse fra gli Stati partecipanti una Convenzione quadro delle Nazioni Unite orientata a vincolare gli Stati all’adozione di politiche industriali finalizzate all’azzeramento entro questo secolo dell’emissione dei “gas serra” – (vedi qui il testo e gli approfondimenti dell‘Ufficio Studi del Senato). E’ il caso di ricordare ai nostri giovani che solo due Stati si sono in seguito dissociati da tale accordo mondiale: Nicaragua e Stati Uniti (riflettiamo insieme, ragazzi…);
  3. La Risoluzione n. 70/1 adottata all’unanimità il 25 settembre 2015 dai 193 Paesi dell’ONU  – clicca qui – che ha stabilito gli obiettivi (Millennium Development Goals) di sviluppo sostenibile del mondo, ruotanti tutti in tre dimensioni intersecantesi: crescita economica, inclusione sociale, tutela dell’ambiente (vedi sull’argomento l’esauriente studio dell’ufficio Studi della Camera dei Deputati -clicca qui); quanto a dire che le aspettative di tutti gli Stati del mondo si rivolgono ai quei tre parametri fondamentali.

       Infine, il documento che consigliamo di leggere in via prioritaria ed integralmente  è un altro: l’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco – dedicata alla problematica dell’ambiente –  del 24 maggio 2015 (vedi qui il testo in html corredato con le note). Con buona pace dei radical chic e degli  atei de’ noantri, l’ampiezza e la profondità dell’analisi di un testo si valuta dal suo contenuto e sul suo valore intrinseco. E, in questo caso, la profondità e l’armonia dell’analisi é grande. Grande anche perchè, sempre all’interno di toni misurati e accorti, non si sottrae dalla ricerca delle cause che impediscono una prudente gestione del pianeta terra e dei soggetti che operano in direzione contraria. Nel mezzo di un periodare armonico e mai scomposto troviamo vere e proprie sciabolate del seguente tenore letterale: “La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere” (punto 36). Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso” (punto 52). “I cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli. E’ tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa (punto 25). Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia” (punto 53). “Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti……Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. (punti 54 e 56). “Nello stesso tempo, cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità. Come spesso accade in epoche di profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati di pensare che quanto sta succedendo non è certo. Se guardiamo in modo superficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado, sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali” (punto 59). La Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato». Pertanto afferma che «non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi….Ogni contadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza. Tale diritto dev’essere garantito perché il suo esercizio non sia illusorio ma reale. Il che significa che, oltre al titolo di proprietà, il contadino deve contare su mezzi di formazione tecnica, prestiti, assicurazioni e accesso al mercato». (Punti 93 e 94) “Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale” (punto 109). La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili” ( punto 123).

Estrapolate da un contesto profondissimo di pensiero, queste frasi potrebbero indurre a un’idea  limitata di Papa “terzomondista, anti-liberista, nemico dei poteri forti”. Ma queste categorie molto laiche (ancorché pienamente sentite da chi scrive) non rendono merito del vero centro del pensiero dell’enciclica: lì leggiamo, oltre all’appello a tutti gli uomini di buona volontà e a tutte le religioni, anche un’interpretazione originale del discorso ambientale, che viene collocato all’interno di una “ecologia integrale, cioè di un contesto nel quale si tengono insieme in un legame indissolubile la questione sociale, quella economica, le grandi migrazioni globali, la governance del mondo nel XXI secolo. In altri termini, Papa Francesco colloca la problematica dell’ambiente nel giusto ambito della crisi in atto del nostro pianeta e del nostro modello di vita e di sviluppo, di fronte alla quale sono attualmente carenti efficaci risposte: “Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future” (punto 53). I vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci” (punto 166). “Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica” (punto 175).

Vengono solo enunciati alcuni principi (anche qui verrebbe di qualificarli come “keinesiani”): “evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura (punto 190). “…diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate” (punto 175)

In fondo a tutte le proposizioni dell’enciclica aleggia maestoso il pensiero del mistero dell’Universo e della presenza dell’Uomo nel mondo. Tuttavia, su un piano di una più reale concretezza storica e fattività umana, Papa Francesco prende atto, senza mai evocarle o nominarle, della fine delle ideologie comuniste e della dannosità di quelle liberiste e invita gli uomini di buona volontà all’impegno straordinario di una nuova  originale interpretazione della realtà sociale e politica mondiale, capace di gestire le sfide poste dai tempi nuovi.

Giuseppe Beato

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