L’araba fenice della società civile

Eugenio Scalfari – La Repubblica, editoriale di domenica 20 gennaio 2013

L’ARABA FENICE DELLA SOCIETA’ CIVILE

Alcuni commentatori lamentano che i protagonisti della campagna elettorale parlino poco o niente di economia e concentrano la loro attenzione soprattutto sulla politica.

A me non pare che sia così, si parla  –  e molto  –  di tasse, di disoccupazione, di precariato per giovani e anziani, di sgravi fiscali, di rilancio della domanda, di disuguaglianze. Ed anche, ovviamente, di politica e di visioni diverse e contrapposte del bene comune.

Sarebbe ben strano che si tacesse di politica. Un’economia senza politica non esiste. Non esiste senza legalità, non esiste senza un richiamo costante alla moralità dei comportamenti pubblici, non esiste senza criteri di scelta dei candidati al Parlamento, cioè di coloro che vengono proposti come delegati a rappresentare il popolo sovrano nel grande consesso dove ha la sua sede il potere legislativo.

Da questo punto di vista una decisione rimarchevole è stata presa nei giorni scorsi. Il Pd ha cancellato dalle sue liste tre candidati (due in Sicilia e uno a Napoli) investigati dalla magistratura privandosi con questo atto di molte migliaia di voti che quei candidati avevano ottenuto nelle primarie in due regioni-chiave per ottenere al Senato la maggioranza dei seggi. La moralità ha avuto la meglio sui calcoli di convenienza; è un elemento di merito che il direttore del “Fatto Quotidiano”, Padellaro, ha riconosciuto al Pd, mentre il suo vicedirettore, Travaglio, nella stessa pagina dileggiava e insultava Bersani che si sarebbe arreso alle tesi di quel giornale.

Ieri il vertice del Pdl – pare anche Berlusconi, spinto da alcuni sondaggi interni -, ha tentato di compiere la stessa scelta escludendo tutti i candidati indagati e alcuni addirittura colpiti da sentenze di primo grado, a cominciare da Dell’Utri e Cosentino. Nel partito si è scatenata la rivolta degli inquisiti, spalleggiati dai loro accoliti. Si annuncia una guerra breve e sanguinosa. Dell’Utri sa tutto di Berlusconi e ha voglia e necessità di parlare. Il Pdl propone che sia lui a decidere di ritirarsi; escluderlo contro il suo parere potrebbe avere conseguenze letali. Il popolo sovrano rischia dunque d’esser rappresentato ancora da Dell’Utri, esperto bibliografo, co-fondatore di Forza Italia e sotto processo per rapporti di lunga durata con le famiglie mafiose Bontate e Graviano.

In un paese serio questi fatti sarebbero di per sé sufficienti per un giudizio complessivo su quel partito. Qui invece non accade. Perché?

Questa domanda ci riporta a discutere della società civile. È un tema che abbiamo già toccato parecchie volte ma che vale la pena d’esser ripreso poiché ha particolare importanza.

I vizi, i difetti, l’immoralità allignano in tutti i paesi e in tutti ceti, ma da noi hanno un’intensità particolare che deriva da un atteggiamento di generale disprezzo verso le istituzioni e verso lo Stato che tutte le contiene.
Lo Stato è considerato un corpo estraneo o addirittura nemico, che taglieggia i cittadini, impone immotivati sacrifici e fornisce pessimi servizi. Chi lo rappresenta viene odiato oppure  –  se se ne ha la possibilità  –  corrotto da persone della società civile che sarebbe la sede di tutte le virtù.

La scarsa efficienza e il tasso di corruzione di chi giudica le istituzioni è sicuramente più elevato che altrove, ma purtroppo non si limita alla sfera del potere pubblico: ha gli stessi vizi anche in quella parte della società civile dalla quale emerge la classe dirigente economica. Ogni paese ha la classe dirigente che si merita poiché quest’ultima non spunta dal cielo ma ha le sue radici nella terra che amministra.

Constatare questa situazione non significa dare un giudizio morale sugli italiani ma comporta un giudizio storico. Fu anticipato, quel giudizio, da Machiavelli e da Guicciardini che fecero nei primi anni del Cinquecento un’analisi accurata ed anche rattristata e memorabile della società in cui vivevano.

Machiavelli arrivò alla conclusione che per creare lo Stato italiano ci volesse un Principe che con ogni mezzo, anche il più violento e immorale, unificasse un paese altrimenti ingovernabile. Guicciardini aborriva la violenza e constatò anche lui che il paese era ingovernabile perché ogni cittadino badava soltanto al suo “particulare” interesse e disprezzava quello pubblico e le regole che la convivenza sociale inevitabilmente comporta.
Questi giudizi sono purtroppo ancora attuali anche se la democrazia è ormai diffusa in tutto l’Occidente. Quell’indifferenza alla “res publica” che Guicciardini descrisse perdura purtroppo tuttora anche perché lo Stato italiano nacque soltanto 150 anni fa, quando in tutta Europa gli Stati si erano formati tre o quattro secoli prima. Perciò la nostra indifferenza alla vita pubblica, la nostra scelta del “particulare”, il tasso di corruzione, di evasione fiscale, d’illegalità, il nostro disprezzo per le regole, la nostra disponibilità alla demagogia, sono un derivato della nostra storia. “Francia o Spagna purché se magna” è un proverbio che sintetizza quattro secoli di servitù a potenze straniere e a Signorie servili e corrotte.

Siamo molto migliorati da allora, ma gli altri paesi sono assai più avanti e in tempi di società globale questo distacco si vede, si sente, si soffre.

 

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