Le prediche sagge e inutilizzate del prof. Cassese sull’oscurità delle leggi italiane

Chi segue da anni/decenni il dibattito sulla qualità della legislazione del nostro Paese non può che osservare con distacco e mortificazione gli articoli di fondo, quale quello apparso il 4 maggio ultimo scorso su “Il Corriere della Sera”, che riprendiamo qui sotto, dal titolo “L’oscurità delle leggi ci fa male“, a cura del prof. Sabino Cassese: i dati, le fonti e le affermazioni incontrovertibili   – 10% del PIL bruciato a causa della “complessità, ambiguità e incertezza delle leggi”, 60% della legislazione proveniente dai decreti legge predisposti dagli Uffici di Gabinetto ministeriali, 90 su 110 provvedimenti di attuazione inevasi – producono nel lettore sconcerto e stupore. Ma rimarranno anche questa volta allo stadio della semplice esecrazione? Noi crediamo di sì, solo a ricordare che lo stesso prof. Cassese, 32 anni fa da ministro della Funzione Pubblica, trasmise al Parlamento un “Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni” (vedilo qui) che alla pagina 23 titolava “L’inflazione normativa e le pubbliche amministrazioni“, informando dell’esistenza di 100.000 leggi in Italia. Cosa è avvenuto in seguito? Proclamazioni politiche e iniziative roboanti tipo il decreto legislativo n. 212 del 2010, proponente il ministro Roberto Calderoli, che abrogò non si sa bene se 200.000 (vedi qui) o addirittura 375.000 leggi, come affermava il video diffuso dallo stesso ministro con un’ascia taglialeggi nella mano  (vedi qui l’esilarante filmato). Ricordiamo anche un convegno del 2016 – integralmente ripreso da Radio Radicale (vedilo qui) – dell’anno 2016 nel quale esperti e giuristi del calibro di Paolo De Ioanna, Manin Carabba, Gaetano Azzariti, Cesare Pinelli, Antonio Zucaro approfondivano e disquisivano su “Troppe leggi, poche decisioni. Eccessi e limiti della produzione normativa in Italia“. Fino alla recentissima Legge 7 aprile 2025, n. 56, che abroga oltre 30.000 norme pre-repubblicane, dal 1861 al 1946, ormai superate (vedi qui).

Il Paese della commedia dell’arte non conosce tregua. Si abrogano leggi antiche e dimenticate, ma si continuano a produrre nuove leggi astruse, “novelle” legislative, prescrizioni ambigue e incomprensibili (solo al lettore comune, non a chi le confeziona che, al contrario, conosce benissimo l’effetto specifico che vuole provocare!), “leggi provvedimento” (anche qui vedi un intervento del prof. Cassese dello scorso anno) con le quali il legislatore si sostituisce agli organi amministrativi disponendo  nel dettaglio sull’organizzazione della burocrazia italiana e sostituendosi alla stessa.

Alle molte analisi e commenti che si fanno sulla legislazione in materia amministrativa, piace aggiungere  le proposizioni icastiche che seguono:

  • La riforma della PA non si è mai fatta  a causa di leggi mal congegnate, nelle quali alle enunciazioni di principio (“leggi manifesto”) non sono mai seguite prescrizioni attuative coerenti con gli assunti proclamati;
  • La riforma della PA non si è mai fatta perchè manca nei più una solida visione d’insieme sulle regole di base da seguire per una buona ed efficiente pubblica amministrazione.
  • La riforma della PA non si è mai fatta anche perchè esiste l’omissione completa di una vista sulle legislazioni dei paesi democratici vicini a noi; tale ignoranza – voluta e perseguita con ostinazione – impedisce di regolare legislativamente, come tutti gli altri, i cardini di una buona burocrazia pubblica: il controllo sistematico del Parlamento sulle pp. aa., l’azione di controllo condotta da autorità indipendenti, esterne e neutrali, l’adozione di una seria pianificazione strategica degli obiettivi previsti da ciascuna amministrazione pubblica, accompagnata da adeguati indici di misurazione dei risultati da conseguire, la valutazione finale esterna, rivolta con precedenza alle performance delle singole amministrazioni considerate nella loro unitarietà istituzionale e, solo in seconda battuta, ai singoli, dirigenti in primis e poi ai dipendenti.
  • La prima riforma che non si fa è quella degli uffici di Gabinetto dei ministeri che, da “advisor di lusso” per gli interessi spiccioli dei ministri e del cosiddetto “Deep State“, dovrebbero diventare trait d’union fra vertice politico e burocrazia ministeriale.

Nessuno dei semplici e basilari principi sopra enunciati è alle viste. Molto più comodo continuare a produrre leggi astruse, possibilmente in dissonanza con altre leggi, interpretabili così “a piacere”, in modo tale da consentire “a chi può” di regolarsi a proprio piacimento.

Giuseppe Beato

 Corriere-della-sera-4-5-25 – L’oscurità delle leggi ci fa male-

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