Tre buoni motivi per non chiamarle “pensioni d’oro”

 VEDI QUI IL TESTO UFFICIALE DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 1071/2018

Come noto, è in discussione presso la Commissione Lavoro della Camera la proposta di legge n. 1071 dell’agosto ultimo scorso, presentata da deputati del movimento 5 Stelle e della Lega. L’oggetto del provvedimento proposto è la riduzione delle pensioni in godimento – anche di quelle future -superiori all’importo netto mensile di 4.500 euro calcolate col metodo di calcolo cosiddetto “retributivo” .

Lo studio che qui alleghiamo, condotto dal “Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali”, diretto dal prof. Alberto Brambilla, dimostra a sufficienza come i presupposti di tale legge (cioè l’ingiustizia sostanziale della quantum di pensione calcolato col metodo retributivo) siano infondati e che il metodo di ricalcolo proposto colpirà indiscriminatamente queste pensioni nell’ordine del 15-20% dell’importo già attribuito, senza alcun confronto con quel metodo di calcolo contributivo che – si asserisce erroneamente – avrebbe generato importi di pensione inferiori a quelli attualmente in godimento. E’ vero, invece, che le pensioni in argomento sono attribuite a persone che hanno ricoperto per molti anni incarichi di alta responsabilità e che, pertanto, nella loro stragrande maggioranza  sono state “ripagate” da chi oggi le percepisce con decenni di alte contribuzioni –  nell’ordine del 33% sulle alte retribuzioni percepite – che sono servite, a suo tempo, a pagare le pensioni di altri concittadini.

Per chi voglia spendere un pò del suo tempo per cercare di capire la verità delle cose, rimandiamo allo studio in questione, studio nel quale con dovizia di particolari sono dimostrate le seguenti cose:

  1. Innanzitutto, che le pensioni in questione non hanno nulla a che vedere con i vitalizi erogati ai parlamentari: questi ultimi non derivano dai contributi versati a un ente previdenziale nel corso di una carriera lavorativa retribuita, ma da un’erogazione finanziaria riconosciuta ad ex deputati ed ex senatori fino a pochi anni fa  completamente scollegata da un equivalente pagamento di contributi previdenziali.
  2. che, come riconosciuto dallo stesso INPS, “molte pensioni, se calcolate con il sistema contributivo, aumenterebbero“. Ciò significa che viene a cadere l’argomento principale che sostiene la tesi secondo cui chi ha beneficiato del sistema di calcolo retributivo ha ricevuto un trattamento superiore a quello cui avrebbe avuto diritto applicando il sistema di calcolo contributivo. Al contrario, invece, per carriere cosiddette “piatte” nelle quali gli interessati hanno goduto di alte retribuzioni per molto più che un decennio, il computo della pensione col sistema contributivo avrebbe generato UN IMPORTO DI PENSIONE SUPERIORE A QUELLO EFFETTIVAMENTE LIQUIDATO COL SISTEMA DI CALCOLO RETRIBUTIVO. Lo studio citato osserva letteralmente “molte pensioni elevate completamente retributive, derivanti da carriera sin dall’inizio con stipendi elevati di manager, magistrati, prefetti, diplomatici, medici, professionisti e dirigenti della p.a. ufficiali militari eccetera potrebbero addirittura avvantaggiarsi del ricalcolo tutto contributivo e risultare più elevate, tant’è che, nel 2001 (legge 27 novembre 2001, n. 417) fu eliminata la possibilità di opzione per il calcolo tutto contributivo“.
  3. che il confronto, effettuato in occasione della campagna informativa INPS nell’anno 2015 denominata “A porte aperte”  segnalava solo  alcuni casi di maggior vantaggio nell’applicazione del calcolo retributivo al momento della cessazione dal lavoro, ma non rendeva giustizia sull’accadimento opposto, secondo il quale, nei casi in cui un lieve vantaggio ci fu,  tale vantaggio è stato in seguito vanificato  dalle mancate o minori perequazioni annuali dell’importo delle pensioni superiori ai 4500 € mensili lordi. La riduzione dell’importo reale originario viene calcolato dallo studio nella percentuale del 13% medio per i cessati prima dell’anno 2000 e dell’8% medio per i cessati nell’ultimo decennio. Si tratta – ciò va precisato – di un riduzione strutturale e non più recuperabile del valore delle pensioni erogate.

Senza naturalmente considerare che la proposta di legge in questione minaccia uno dei diritti fondamentali del cittadino: il diritto VIGENTE di  godimento della pensione maturata, fondamentale al pari del diritto alla salute o del diritto di proprietà , per citarne solo due altri fondamentali. Si  infrange così un principio costituzionale garantito per tutti i cittadini italiani che è quello del legittimo affidamento, secondo il quale il legislatore non può modificare assetti giuridici sui quali i cittadini hanno riposto affidamento e hanno conseguentemente condizionato le scelte personali di vita (per comodità si cita solo l’ultima sentenza della Corte Costituzionale in merito: la n. 173 dello scorso anno 2016- vedi). Oggi toccherebbe ai cosiddetti “pensionati d’oro” – che non hanno rubato proprio nulla – domani a qualunque altro diritto costruito negli anni sulla basi di un patto fra Stato e cittadini. Stato di diritto?

Itinerari previdenziali agosto 2018 –  Osservazionisullla proposta di ricalcolo delle pensioni

 

Articoli Recenti Relativi