Perché le disposizioni legislative sugli OO.II.VV. non possono funzionare

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A proposito del  decreto legislativo n. 74 del 25 maggio 2017 – modificativo di parti sostanziali del famoso “decreto Brunetta” n. 150 del 2009 – siamo già intervenuti per stigmatizzare le modalità con le quali gli organi di Governo hanno dato diffusione e conoscenza vera delle novità recate dal decreto in questione, pubblicando il quadro sinottico delle disposizioni originarie e di quelle oggi in vigore (vedi qui).

La poca trasparenza nella comunicazione cela dietro di sé più di una debolezza di fondo dell’impianto della legislazione sulla valutazione, così come emerge dal restyling del già poco equilibrato quadro normativo di partenza. Chi scrive non  ama il disfattismo. Ma, affinché le buone intenzioni si traducano in dato di realtà, non è sufficiente attestarsi sull’enunciazione legislativa di tanti buoni e condivisibili principi: sarebbe fondamentale, in parallelo, congegnare alcuni equilibri di sistema senza i quali il funzionamento dei principi previsti non è assicurato, anzi se ne può prevedere con buona approssimazione il fallimento. Sono tre i punti di caduta della normativa sulla valutazione come oggi in vigore:

  1. Al vertice del Sistema di valutazione non è collocato un Organismo indipendente (cioè, non collegato gerarchicamente a un Ministro) dal Governo della Repubblica, come invece è stato previsto per la materia della trasparenza con l’Autorità Nazionale Anticorruzione: questo è un  limite strutturale della normativa  perché, paradossalmente, impedisce che gli uffici del Dipartimento della Funzione pubblica – incaricati per legge (vedansi fra gli altri gli articoli 5,7 e 8 del  decreto 150/2009 modificato dal d.lgs. n. 74/2017) –  possano dispiegare a 360 gradi la necessaria azione di coordinamento: ricordiamo che negli Stati Uniti – visto che é quello il modello implicito e non dichiarato di riferimento della normativa italiana sulla valutazione –  al vertice del sistema di  valutazione delle performance dei dirigenti e dei dipendenti dell’Amministrazione federale é collocato l‘Office of Personnel Management (OPM) che é un’Agenzia indipendente, pur se legata al potere esecutivo (vedi qui I sistemi di valutazione nell’Amministrazione federale U.S.A.): l’indipendenza dà aggio all’OPM addirittura di rigettare un “Sistema di misurazione e valutazione della performance” predisposto da un’Amministrazione pubblica in maniera non conforme ai criteri generali dettati. Inoltre, nel nostro sistema, è latitante un controllo forte e vero da parte del Parlamento sull’attività e sui risultati di performance delle Amministrazioni pubbliche; la funzione di vigilanza si riduce sempre a interrogazioni e interpellanze relative a singole questioni, quasi mai al complesso delle attività.
  2. Con l’attività degli Organismi “Indipendenti” di Valutazione  si realizza una confusione di fondo originata dal primo comma del nuovo articolo 7 del decreto 150 che testualmente detta: “Le amministrazioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale. A tale fine adottano e aggiornano annualmente, previo parere vincolante dell’Organismo indipendente di valutazione, il Sistema di misurazione e valutazione della performance“. Il successivo articolo 14 del decreto prevede che gli OO.II.VV.  sovrintendano alla valutazione sia organizzativa (riferita ai risultati produttivi dei vari uffici) che individuale (riferita ai dirigenti di quell’Amministrazione). Tuttavia, quella che viene definita come “valutazione organizzativa” non riguarda affatto la valutazione della performance di una pubblica amministrazione nel suo complesso. Ciò significa che in Italia siamo in presenza di un vero e proprio “buco” legislativo. La legislazione federale U.S.A. in ordine alla materia della valutazione (vedi ancora qui)  – cui le nostre disposizioni in qualche modo vorrebbero riagganciarsi –  prevede specificamente la valutazione dei risultati (outcome) conseguiti dalle amministrazioni, considerate come un tutto.  Sono addirittura due separate Agenzie U.S.A. ad occuparsi: a) della valutazione delle pubbliche Amministrazioni: l’OMB – Office of Management and Budget – vedi qui –  a diretto riporto del Presidente degli Stati Uniti; b)  della valutazione dei dirigenti e dei dipendenti federali: l’OPM – Office of Personnel Management – vedi qui – l’omologo del nostro Dipartimento per la funzione pubblica. La debolezza del sistema di valutazione italiano nasce da questa confusione di ambiti e funzioni: mentre gli omologhi statunitensi –  che si chiamano non a caso Performance Review Boards  (vedi qui) si occupano, ciascuno per un’Amministrazione pubblica federale, SOLO di valutazione dei dirigenti a supporto  dei vertici amministrativi,  in Italia gli OO.II.VV. effettuano valutazioni organizzative, nella confusione fra questo tipo di valutazione  e l’altro tipo (ben più importante), che non può che essere di pertinenza di un organo esterno alla singola pubblica amministrazione; gli OOIIVV italiani vengono prescelti e retribuiti dai vertici politico-amministrativi della medesima: con salvezza, naturalmente, del valore personale di chi è componente di questi Organi, è evidente che mancherà sempre la terzietà necessaria, che solo un organo pubblico di controllo esterno può assicurare. In questo senso l’ultima disposizione restrittiva con la quale è stato interdetto al personale interno di far parte degli OO.II.VV. é solo un pannicello caldo.
  3. il terzo motivo di debolezza strutturale dell’intero impianto legislativo sulla valutazione é collegato a una previsione legislativa non presente nel decreto legislativo n. 74, ma  nel decreto gemello n. 75/2017 di pari data. L’articolo 40 di quest’ultimo decreto prevede che  “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari,alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge“. Questa disposizione, non esistente nell’originario decreto lgs. 150/2009, formalizza  una prassi in vigore da 25 anni (cioè  dall’emanazione del decreto legislativo n. 29 del 1993): le clausole del contratto nazionale e, soprattutto, della contrattazione integrativa orientano e danno i criteri sulla valutazione dei dipendenti pubblici. In tal modo viene sottratta alla responsabilità esclusiva della parte pubblica una materia che, per definizione, attiene al merito individuale e alle naturali differenze fra i vari e diversi apporti, per consegnare tale responsabilità a un “fronte” cogestito da un soggetto, il sindacato, che per ispirazione naturale e originaria è orientato alla salvaguardia generale delle categorie di lavoratori, oltre che dei singoli. Dei guasti che questa forma di cogestione ha arrecato noi di Nuova Etica Pubblica abbiamo scritto da tempo (vedi qui “il nostro punto sulla valutazione” dell’anno 2015).  Qui si può solo aggiungere che le riflessioni critiche condotte in questi anni proprio da molti di coloro che teorizzarono e supportarono intellettualmente la contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego (vedi qui per tutti Dell’Aringa,D’OrtaBattiniTalamo) non hanno convinto il Governo attuale ad abbandonare una strada già rivelatasi fallimentare e a riconsegnare alla responsabilità della sola Amministrazione pubblica il compito di valutare i propri dirigenti e dipendenti. Inutile, infine, tentare la vana replica che i contratti dispongono solo sui criteri (cosa in sé peraltro errata e in contraddizione con lo stesso disposto di legge che individua nel Dipartimento della funzione pubblica il soggetto deputato a dettare i criteri generale di valutazione): la storia di questi 25 anni racconta chiaramente che l’influenza sindacale – supportata dai vertici politico-amministrativi – riesce sempre ad orientare/inquinare in direzione delle famigerate valutazioni a pioggia l’azione delle dirigenze delle Amministrazioni pubbliche.

Almeno in questo caso, non si potrà dire fra anni che l’ennesima mancata attuazione di una legge di riforma e di un serio processo di valutazione di amministrazioni, dirigenti e dipendenti, non era prevedibile.

Giuseppe Beato

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