Osservazioni di Liborio Romano a Camillo Benso di Cavour – maggio 1861

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Liborio Romano, figlio di una nobile famiglia del Salento, é uno dei personaggi più controversi e insultati del nostro Risorgimento – vedi: Ministro dell’Interno del Regno delle Due Sicilie, al momento finale di quel Regno, convinse il ventiquattrenne Re Francesco II ad abbandonare Napoli per Gaeta onde evitare inutili spargimenti di sangue. Aveva già preso contatti con Cavour, poi con Giuseppe Garibaldi, ormai a pochi chilometri da Napoli con i suoi “Mille”, per organizzarne l’entrata in città. In effetti così avvenne: L’Eroe dei Due Mondi arrivò in treno il 7 settembre 1860, accolto da una folla festante. Un espediente escogitato dal Romano perché non ci fossero incidenti e fuori programma fu quello di affidare a Salvatore De Crescenzo, capo della camorra napoletana, il compito di mantenere l’ordine pubblico per favorirne l’ingresso in città.  Liborio Romano fu premiato, prima con la conferma a Ministro dell’Interno, poi con un incarico nella “Luogotenenza Carignano” per i Savoia, quando Garibaldi si ritirò a Caprera.

Considerato un traditore sia dai Borboni che dai Sabaudi, si ritirò un anno dopo dalla carriera politica, nonostante fosse stato eletto in Parlamento con 400.000 voti (il più votato) da ben otto diverse circoscrizioni meridionali. Si parla di lui come dell’inventore del trasformismo.

il motivo per il quale ne parliamo è, sostanzialmente, perché non ci fidiamo della storiografia ufficiale di quegli anni, guidata del vincitore piemontese. Innanzitutto, stridono con questa vulgata altre notizie biografiche di quest’uomo. Nato nel 1793, abbracciò da giovane gli ideali del Risorgimento; da avvocato , dopo i moti del 1820, fu arrestato e poi inviato al confino e all’esilio all’estero. Tornò a Napoli nel 1848 per battersi contro re Ferdinando II per la concessione della costituzione nel Regno delle Due Sicilie: fu nuovamente imprigionato e condannato, ottenendo la commutazione della pena in un nuovo esilio che durò fino all’anno 1854. Tornato a Napoli si distinse sempre nella sua attività di Avvocato per il grande coraggio: difese in tribunale contro la Monarchia gli interessi del Governo inglese – grande nemico dei Borbone – nella causa da quest’ultimo intentata per l’utilizzo delle miniere di zolfo in Sicilia….non pare proprio il percorso di un opportunista o di un vigliacco…Egli dichiarò sempre  che il suo ideale era “Un’Italia unita” e  si mosse sempre in coerenza con tale obiettivo, anche e sopratutto nell’occasione sopra ricordata, nella quale evitò che Napoli diventasse un grande campo di battaglia e di morte , ma operò perchè si congiungesse al Regno dei Savoia.

L’elemento che ci convince definitivamente per la sua lealtà e amore per gli ideali di un’Italia unita, sono le 10 riflessioni che inviò a Camillo Benso di Cavour nel maggio  1861 un mese prima che quest’ultimo morisse. Coraggiosamente e unico dentro un contesto di intellettualità meridionale, trovò le parole e gli argomenti per contestare in radice il modo in cui il Governo piemontese stava operando la fusione degli Ordinamenti nella penisola ormai unificata. il nostro illustre contemporaneo Sabino Cassese ha ben illustrato nel suo testo del 2014 “Governare gli Italiani: storia dello Stato” – vedi – il processo di omologazione all’Ordinamento sabaudo che Cavour e la Destra storica effettuarono immediatamente dopo i Plebisciti, travolgendo tutte le leggi e le istituzioni esistenti negli Stati italiani conquistati. Liborio Romano ammoniva, invano, Il Conte di Cavour sul fatto che questa era una strada completamente errata per quanto riguardava l’ex-Regno delle Due Sicilie, perché le leggi “sono l’espressione dei bisogni dei popoli e tali bisogno nascono dal clima, dall’indole degli abitanti, dal civile progresso, dalle condizioni religiose, politiche, economiche, dai pregiudizi e dagli errori stessi”. Citava il pensiero di Tacito a conforto della sua tesi  (Leges sine moribus vanae proficiunt) e l’esperienza del popolo romano antico. Ai punti 9 e 10 parlò anche di pubblica amministrazione: affermò chiaro e tondo che “nella foga di innovar tutto, senza frapporre tempo in mezzo” erano stati confermati in posti delicati e di grande responsabilità personaggi oscuri che il popolo giudicava come disonesti e impostori; che mancava, nella ricostruzione di una nuova amministrazione statale quella prudenza e quel discernimento necessario per individuare persone per bene, evitando di abbandonare l’amministrazione agli incapaci e ai parassiti. Pare che Cavour riconoscesse la fondatezza di molte delle opinioni espresse dal Romano (“..molto di quello che sostiene don Liborio é giusto“). I due si incontrarono a Torino  a fine maggio1861  per parlare di questi appunti: Cavour morì dopo una settimana, il 6 giugno.

 Lettera al sig_Conte di Cavour sulle condizioni delle provincie napoletane(1)

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