La figura del “Commissario Straordinario”: dove funziona e dove no.

Tutti siamo percorsi da un sentimento di sollievo per i risultati che sta dando l’opera di ricostruzione del viadotto autostradale che transita lungo la città di Genova. E’ prevalente, peraltro, l’idea che il successo dell’operazione debba essere ascritto alla “fuoriuscita” dai vincoli della legislazione ordinaria, con conseguenti poderosi risparmi in termini di “sburocratizzazione” delle procedure.

La breve analisi che segue intende suggerire due idee, fra loro purtroppo contraddittorie, a proposito dell’utilità concreta dello strumento commissariale esteso ad altre situazioni parimenti drammatiche.

Il Commissario straordinario del ponte di Genova non è una figura amministrativa sorta dal nulla, ma il frutto di un dispositivo normativo evidentemente ben congegnato. La normativa di riferimento è dettata dal decreto legge n. 109 del 28 settembre 2018, convertito in legge n. 130 del 16 novembre dello stesso anno – vedi qui il testo coordinato pubblicato su Gazzetta Ufficiale. Si possono trarre dal testo utili elementi di riferimento per comprendere la necessità di un buon impianto normativo di riferimento per il successo di un’operazione pubblica di rilevanza nazionale: la nomina del Commissario straordinario effettuata del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Presidente della Regione interessata (art. 1, comma1); l’attribuzione di un numero consistente di risorse umane tratte dalle dotazioni organiche delle amministrazioni pubbliche “in possesso delle competenze e dei requisiti necessari di professionalità richiesti” (art. 1, comma 2); la possibilità di usufruire dell’apporto di non più di 5 “esperti e consulenti esterni” (art. 1, comma 2); il ribaltamento dei costi dell’opera sul concessionario del tratto autostradale “tenuto a sostenere i costi di ripristino della viabilità” (art. 1 comma 6); un’attenta disamina di tutti i soggetti privati effettivamente o potenzialmente danneggiati dall’opera pubblica: inquilini degli stabili adiacenti (art. 1-bis), operatori economici e lavoratori danneggiati dal crollo e, potenzialmente, dai lavori programmati, cittadini in genere (artt. 3, 4 e 5), con fissazione del prezzo di espropriazione e rimborso immediato, esenzioni fiscali e ricorso alla cassa integrazione, misure di viabilità del traffico locale. Ma, soprattutto, ricorso alla normativa dell’Unione Europea per la scelta della (o delle) imprese affidatarie dell’opera: per la precisione, l’articolo 32 della Direttiva 2014/24/UE (vedi qui il testo completo).

Visti i risultati in quel di Genova, il cuore si apre a speranza riguardo alla possibilità in questo Paese di congegnare leggi efficaci per contrastare eventi drammatici e luttuosi. Ma questo raggio di sole si oscura quando si scorrono gli articoli successivi di quello stesso decreto legge: Interventi nei territori dei Comuni di Ischia interessati dagli eventi sismici dell’agosto 2017; misure urgenti per i terremoti de L’Aquila del 2009, del Centro Italia nel 2016-2017 (Amatrice, Norcia).

Qui lo sconcerto è grande! Strumenti analoghi a quelli previsti  per il viadotto di Genova non hanno prodotto i risultati sperati in altri contesti. Ne sono prova le molteplici allarmate notizie di stampa: vedi qui l’intervista del gennaio 2020 al Commissario straordinario per la gestione post terremoto di Ischia, vedi ANSA 2019: la ricostruzione lenta post scosse telluriche del 2016 e 2017, vedi qui il secolo XIX dell’aprile ultimo scorso sul terremoto de L’Aquila, dove si parla ANCORA di ricostruzione come priorità (futuribile e auspicata).

C’è imbarazzo nell’osservare che prescrizioni legislative di pari rango e di analogo rilievo generino risultati così diversi: un ceto politico non distolto dalle piccole tattiche del giorno per giorno analizzerebbe e valuterebbe i vari provvedimenti legislativi e seguiti attuativi, per comprendere cause e modalità della buona o cattiva riuscita delle politiche pubbliche nazionali. Non pare lo faccia nessuno.

Giuseppe Beato

 

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