La burla delle “pensioni d’oro” e i demagoghi: sarebbero più alte col metodo di calcolo contributivo

I demagoghi in servizio permanente effettivo affermano due falsità: 1) che un eventuale taglio delle pensioni d’oro risolverebbe il problema della sostenibilità delle pensioni in pagamento; 2) che le alte pensioni liquidate con il metodo di calcolo retributivo sono più alte (e quindi  “regalate”) rispetto alla diversa modalità di calcolo contributivo che avrebbe stabilito il vero ed equo compenso pensionistico.

Non siamo solamente noi a dirlo – circostanza in sé poco influente (vedi qui)  – quanto esperti del calibro di Mauro Marè, Giampaolo Galli e Alessandra del Boca, la cui opinione viene ospitata dal  Sole 24 ore (vedi qui MARE’) e dal Corriere della Sera (vedi qui DEL BOCA): la “proposta Boeri” sul taglio delle alte pensioni in godimento, non solo è incostituzionale e antigiuridica (il che in uno Stato serio dovrebbe essere sufficiente per un immediato cartellino rosso), ma non risolve il problema della sostenibilità delle pensioni di chi oggi ha trenta o quarant’anni.

Lo stesso Tito Boeri ha lanciare l’allarme – atto in sé giusto e moralmente da apprezzare – affermando che, con l’attuale sistema, i giovani andranno in pensione a 75 anni con importi miseri – vedi qui. Ma, se la vera garanzia di copertura delle pensioni dei nostri figli risiedesse nel ritorno al principio della pensione retributiva che valorizzava il principio solidaristico e liquidava le pensioni calcolandole sugli ultimi anni della retribuzione goduta? Già, perchè il sistema retributivo garantiva proprio i redditi più bassi, non quelli alti. La crisi del sistema si è determinata nel ventennio a cavallo del millennio non per il metodo di calcolo, ma perchè i lavoratori potevano andare in pensione a 57 anni. Questo soprattutto ha demolito i conti previdenziali.

Il sistema contributivo, invece – al contrario di ciò che vogliono far credere i demagoghi che pontificano contro le “pensioni d’oro” – garantisce nel tempo le fasce alte di retribuzione, perchè al momento della cessazione dal servizio possono godere di un trattamento pensionistico calibrato sugli alti contributi pagati dagli interessati per un’intera carriera sulla base di retribuzioni percepite molto ingenti. Ciò dimostra come sia senza senso chiamare “pensioni d’oro” le pensioni alte che, col metodo contributivo, sarebbero spesso risultate più profittevoli di quelle liquidate col metodo di calcolo retributivo. Un Paese privo di memoria ha dimenticato che nell’anno 2000 il governo Amato bloccò la possibilità di opzione fra calcolo col metodo retributivo e calcolo col metodo contributivochi desidera, controlli l’ultima proposizione dell’art. 69, comma 6, della legge finanziaria n. 388/2000- vedi qui. Proprio gli alti dirigenti statali  stavano esercitando in massa l’opzione al sistema contributivo, all’epoca prevista per tutti dall’articolo 1, comma 23 (vedi) della Legge Dini n. 335/1995 (per chi voglia approfondire suggeriamo la lettura le circolari INPS e INPDAP dell’epoca). Di qui le considerazioni allarmate dell’allora sottosegretario del Ministero del Tesoro, Piero Giarda:” La norma – ha spiegato Giarda – è stata pensata per intercettare una categoria di persone, chiamamoli i rinoceronti, cioè gli alti funzionari dello Stato a reddito elevato che sfruttando le pieghe della riforma Dini avrebbero potuto andare in pensione dal 2001, intascando col metodo contributivo un assegno più consistente di quello che avrebbero preso con il retributivo” (vedi qui).

La demagogia non ha né memoria né ritegno minimo.

Giuseppe Beato

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