Il Consiglio di Stato fa a pezzi la riforma Madia sulla dirigenza pubblica.

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In anteprima il testo del Parere del Consiglio di Stato – vedi alla fine del presente articolo – sullo schema di decreto sulla dirigenza pubblica, che smonta pezzo per pezzo il contenuto del decreto Madia, con molteplici  rilievi di contrasto con i principi costituzionali e con i criteri della legge di delega.

La locuzione “fatto a pezzi” – che usiamo nel titolo – non ci pare peregrina: sappiamo infatti che lo schema di decreto legislativo sul ruolo unico della dirigenza pubblica, presentato dal Governo alle Camere per il prescritto parere (lo scorso 25 agosto – clicca qui ) ha ricevuto un vero e proprio diluvio di critiche, manifestate da circa 20 sigle sindacali e associazioni della dirigenza nella giornata dello scorso 7 ottobre alla Commissione costituzionale della Camera dei Deputati (vedi qui i video degli interventi).

Anche la nostra “Associazione Nuova Etica Publica”, insieme all‘”Associazione Classi Dirigenti delle pubbliche amministrazioni” e all’“Associazione Allievi della Scuola superiore della PA” ha esposto una serie di rilievi in un documento comune presentato alla Commissione (vedi qui). Ciò che colpisce del parere reso nella giornata di ieri dal Consiglio di Stato é la quasi completa coincidenza fra i suoi contenuti e le nostre osservazioni. Rinviando alla lettura specifica dei vari punti del parere reso segnaliamo nell’ordine:

1) Mancanza della previsione di un compiuto sistema di valutazione della dirigenza: “Necessario raccordo (della disciplina del ruolo unico) con la messa in atto di un compiuto sistema di valutazione ” , “”la disciplina della valutazione, come già sottolineato rappresenta una delle condizioni indefettibili per una riforma organica: la sua omissione rischia di comprometterne l’attuazione e, quindi, il raggiungimento delle stesse finalità prefissate dal legislatore”(pag. 27), “sono previsti strumenti di valutazione fra loro non omogenei, con il rischio che la performance di un dirigente, per la medesima attività, venga valutata in modo differente dalle singole amministrazioni” (pag. 54) “la concreta attuazione richiede tempo e una necessaria fase sperimentale di verifica dei meccanismi introdotti. Tale fase sperimentale costituisce la condizione essenziale per il funzionamento del meccanismo e quindi per la legittimità della riforma“(pag 55). Il riferimento al sistema di valutazione come condizione indispensabile per attuare la riforma dei ruoli unici ricorre praticamente in tutti gli argomenti trattati nel parere (vedansi anche le pagine 53, 89 e 92).

2) Non conformità ai criteri direttivi della delega per la materia delle Commissioni per la dirigenza: la normativa relativa ai “componenti stabili della Commissione” é “in contratto con la legge delega” in quanto “vengono individuati soggetti che , oltre ad essere provenienti da carriere esterne dall’ambito di applicazione della riforma, si trovano in posizione di non piena indipendenza dall’organo politico” (pag. 59).  “Si pone anche una rilavante questione di fattibilità concreta del modello di Commissione previsto….E’ alquanto difficile ipotizzare che (tali componenti stabili) riescano ad assicurare l’espletamento, nelle modalità e nei tempi previsti, delle ulteriori funzioni” (pag. 59), é necessario pertanto che ” i componenti siano dedicati in via esclusiva all’esercizio delle funzioni“(pag 60).

3) Bocciatura dei criteri di assunzione previsti per i dirigenti a tempo determinato: non condivisibile” la valutazione del Governo secondo cui viene meno la necessità di esperire una previa valutazione della mancanza fra i dirigenti di carriera della professionalità specifica richiesta per l’assunzione in quanto sarebbe difficoltoso effettuare la predetta ricognizione sull’ampio numero dei dei dirigenti iscritti al ruolo unico. Il Consiglio di Stato osserva che “si tratta di un possibile “inconveniente di fatto” privo pertanto di qualunque rilevanza giuridica”(pag. 63) e conclude pertanto che “il conferimento degli incarichi esterni deve necessariamente essere preceduto dalla verifica, almeno nell’ambito delle domande pervenute, di adeguate professionalità interne alla dirigenza della Repubblica” (pag. 64). Non é sfuggito al consiglio di Stato che lo schema di decreto conferma l’aberrante previsione dell’articolo 110 del d. lgs. n 267/2000 (introdotta due anni fa con legge n. 14/2014), consistente nella possibilità per gli enti locali di reclutare dirigenti esterni a tempo determinato nella misura del 30% dei posti in dotazione organica. Sul punto il CdS osserva che il decreto “lascia ferma una norma che si inserisce  in un contesto regolatorio completamente diverso fondato sui ruoli delle singole amministrazioni” e che “Vengono definiti limiti percentuali eccessivamente elevati, riferiti alla dotazione organica del solo Ente locale che ha stipulato il contratto e senza la previa verifica della non rinvenibilità nei ruoli delle porfessionalità adeguati” e che “la possibilità di conferire incarichi oltre la dotazione organica risulta contraria al principio della legge delega della tendenziale riduzione del numero dei dirigenti pubblici” (pag. 69).

4) In ordine alla responsabilità dirigenziale, al rinnovo e alla cessazione degli incarichi: il nuovo testo dell’articolo 21 del d. lgs. 165/2001 in ordine al “mancato raggiungimento egli obiettivi” é viziato da una “non chiarezza di alcune prescrizioni e alla dubbia riconducibilità di alcune di esse nell’ambito della responsabilità dirigenziale” (pag. 81)….pertanto “le riportate osservazioni, afferendo alla fase nevralgica di cessazione del rapporto dirigenziale in cui non devono entrare contaminazioni politiche, costituiscono ulteriori condizioni indefettibili per la riforma“(pag. 82). Sulla responsabilità amministrativo – contabile a proposito della quale lo schema di decreto prevede la “responsabilità in via esclusiva” dei dirigenti, il Consiglio di Stato contesta seccamente la ragionevolezza di questa previsione affermando che “é altrettanto evidente che non si può escludere che l’organo politico individui un obiettivo che di per sé possa condurre causalmente a determinare tale danno. Si tratta di accertamenti di merito che non possono essere imbrigliati in rigide e preclusive disposizioni normative”…..pertanto “la norma dovrebbe essere eliminata dal testo” (pag. 101-102). Sul rinnovo dell’incarico al termine dei quattro anni il CdS osserva che deve essere previsto nel decreto “la previsione dell’obbligo di motivazione da parte dell’amministrazione anche nel caso in cui essa non decida di rinnovare l’incarico” (pag. 78). Sulla cessazione automatica degli incarichi e la successiva decadenza dal ruolo unico il CdS afferma, qui in modo molto più timido e meno argomentato, che “(sulla decadenza dal ruolo unico) il legislatore delegato potrebbe, anche per evitare possibili declaratorie di incostituzionalità della norma, circondare la previsione da un più forte sistema di garanzie…..in primo luogo, pur essendo apprezzabile il criterio direttivo riferito alla mera valutazione negativa…..é necessario che essa venga accertata in modo rigoroso, il che implica, come sottolineato, che sussista un efficiente sistema di valutazione dell’attività dirigenziale“(pag. 89-90).

Oltre alle suddette osservazioni, perfettamente coincidenti con quelle espresse dalla gran parte dei soggetti auditi al Senato e alla Camera dei Deputati, Il parere del Consiglio di Stato é denso di molte altri rilievi di costituzionalità e/o di eccesso di delega afferenti alle modalità di accesso alla dirigenza per i dirigenti dei ruoti unici regionali e locali (pagine 40 e seguenti), gli incarichi apicali nei comuni (pag. 70) e i Segretari comunali (pag. 96 e seguenti).

Eppure, il parere del Consiglio di Stato lascia qualcosa di inespresso e questa mancanza attiene al cuore stesso dell’intera riforma Madia: la definizione corretta e costituzionale del’incarico dirigenziale, l’esatta configurazione della natura particolare della funzione dirigenziale pubblica. La disquisizione iniziale e le premesse di fondo del parere lasciavano trasparire concetti assai pregnanti e definitivi: la citazione del Mortati sulla necessità di “assicurare ai funzionari alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici”, (pag. 6), il principio dell’imparzialità che consente alle pubbliche amministrazioni di essere “al di sopra dei partiti, cioè al di fuori dalla lotta per acquisire una potenza propria“(pag. 7), il richiamo alla Costituzione che delinea una relazione fra organi politici e dirigenziali, la citazione delle sentenza della Corte Costituzionale n. 453/1990 che fissava la “distinzione fra l’azione del governo- normalmente legata agli intessi di una parte politica espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione che nell’attuazione dell’indirizzo politico è vincolata ad agire senza distinzione di parti politiche”, tutte queste premesse dovevano condurre il Consiglio di Stato – e non l’hanno condotto – ad una conclusione necessaria: che in regime della dirigenza pubblica il diritto alla stabilità del posto e il diritto all’incarico sono la condizione essenziale per garantire l’imparzialità della pubblica Amministrazione e che, nel momento in cui il decreto legislativo nega in linea di principio o, peggio, elude tale principio, pone l’Italia in una posizione difforme, non solo dalla Carta costituzionale, ma anche da quella esistente in tutti I Paesi occidentali avanzati, Stati Uniti compresi: una detestabile vulgata, sui fomentatori della quale torneremo presto, vuol far credere da trent’anni a questa parte che il modello del dirigente pubblico si debba conformare allo “spoils system” USA: ebbene, si sappia che negli Stati Unti lo spoils system è stato abolito da 130 anni e che lì opera oggi un regime di dirigenti pubblici stabili, vincitori di concorso pubblico e garantiti nel posto di lavoro e nelle funzioni svolte, salvo accertamento di responsabilità penali, disciplinari o di insufficiente performance.

Pertanto, il parere del Consiglio di Stato – forse qualcuno ha frenato la mano dell’estensore, che “era partito” molto bene – non taglia il nodo gordiamo più decisivo dell’intera “riforma Madia” e non ci restituisce tranquillità. Dovremo, pertanto, proseguire nella battaglia civile per riaffermare ciò che in Francia, in Germania, in Inghilterra e negli Stati Uniti è pacificamente acquisito.

Il parere del Consiglio di Stato non è, come noto, vincolante per il Governo. Tuttavia non mancherà di destare l’attenzione delle Commissioni parlamentari che, a loro volta, debbono esprimere un parere sulla riforma, chiedendo anche esplicitamente al Governo di operare modifiche al decreto. Ma nelle stanze dove siedono i personaggi che hanno partorito questo schema di decreto ci sono orecchie capaci di “ascolto”?

Giuseppe Beato.

  Consiglio di Stato Parere n 2113/16 del 14 ottobre 2016

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