C’è una cittadina di un Paese UE che venti anni fa decise di venire a vivere in Italia. Qui completo’ tutti i cicli scolastici, qui oggi lavora (da 9 anni) e qui assolve ai suoi obblighi fiscali. Uno pensa che, date le premesse, dovrebbe avere accesso libero e tranquillo ai benefici del nostro welfare sanitario.
Ma così non è.
Trasferitasi un anno fa da Milano a Torino, cambia formalmente la residenza. I sistemi di banca dati dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate recepiscono senza problemi il suo cambio di residenza. Le regioni Lombardia e Piemonte invece non lo recepiscono, probabilmente perché dispongono di due sistemi informatici separati e incomunicanti. In conseguenza alla giovane signora non arriva la nuova tessera sanitaria. Avendo necessità di effettuare delle analisi cliniche decide di richiederla a un’azienda sanitaria torinese.
Qui viene il bello! Le dicono che e’ necessario aggiornare il permesso di soggiorno. Dovrebbe essere un adempimento semplicissimo per lei, visto che NON HA un permesso di soggiorno, ma, in quanto cittadina comunitaria, dispone di un’attestazione permanente di soggiorno, documento riservato ai cittadini comunitari, che pertanto non devono chiedere il permesso per soggiornare su suolo italiano. Invece, questa sua posizione chiara e definita nella situazione in specie diventa un problema insormontabile perchè il sistema informativo sanitario della regione Piemonte consente di compilare solo il modello di rinnovo del permesso di soggiorno! Sempre più sfiduciata la nostra effettua una ricerca su google per capire qualcosa; trova solo una risposta a un quesito simile rivolto al Comune di Predappio dove qualcuno risponde che……non se ne sa nulla.
Seguono telefonate (a vuoto) al Comune di Torino e alla ASL di zona. Gli uffici non rispondono o, se risponde qualcuno, suggerisce di chiamare uffici che non rispondono.
Giunti a questo punto, nel sistema burocratico del nostro amato Paese, esistono due sole possibili vie d’uscita: o si conosce qualcuno negli uffici che effettua il servizio in via di raccomandazione oppure si decide di pagare, prenotando la visita in una clinica privata.
La signora, non conoscendo nessuno ne’ in comune ne’ in ASL, ha deciso di pagare. Inutile dire che è schifata per ciò che le è accaduto perché si è sentita umiliata e presa in giro da un’organizzazione assurda e irrispettosa delle procedure di gestione dei diritti del cittadino.
Sono frequentissimi casi simili in tutte latitudini del Bel Paese e nei confronti delle persone sprovviste di “conoscenze”. Una domanda: quando esisteranno, come negli altri paesi democratici, forme di controllo esterno delle amministrazioni pubbliche capaci anche di recepire, valutare e indagare su casi di disservizio segnalati dall’utenza?