La corruzione negli Enti locali come fenomeno diffuso

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E’ un fenomeno che sta assumendo i contorni dell’emergenza nazionale: si moltiplicano i casi di arresti di sindaci e/o dirigenti di Comuni o Regioni per vicende legate ad appropriazioni, corruzione, favoritismi familiari, arricchimenti illeciti.Non ha le caratteristiche di “organizzazione unica” (mafia, tanto per intenderci) ma ha carattere endemico, prolifica “liberamente” allo stato diffuso,  non ha natura di malaffare organizzato, ma è spesso frutto di “estro” personale germinato nelle più diverse forme. A tacere del peggiore (Mafiacapitale a Roma – vedi qui), si possono enumerare ormai a decine gli episodi e le persone coinvolte. Solo negli ultimi giorni si vedano gli arresti al Comune di Lonate (VA) -vedi, al Comune di Terni -vedi, al Comune di Guidonia -vedi, alla Regione Sicilia – vedi, al Conservatorio Bellini di Catania. In tutti  o quasi tutti questi scandali, i protagonisti sono Sindaci o Assessori, collusi con dirigenti infedeli, in molti casi in aperto dissidio con altri dirigenti e funzionari pubblici che scoperchiano il malaffare e che vengono lasciati soli a combattere la loro battaglia per la legalità ( si vedano i casi della Segretaria comunale del Comune di Lesmo (Monza)-  vedi qui il video delle sue dimissioni in diretta – o quello della dr.ssa Maria Piazza, dirigente della Regione Sicilia, che ha contrastato il malaffare del re del trasporto marittimo Morace – clicca qui.

Non si può più parlare di casi isolati. Nè valgono considerazioni “antropologico-etniche” su un’eventuale (inesistente) disonestà diffusa “degli Italiani”. Chi studia le istituzioni sa bene che i fenomeni corruttivi endemici   sono sempre legati a deficienze delle leggi vigenti e ad assetti organizzativi mal congegnati che non riescono a regolare/imbrigliare quelle tendenze al malaffare che cercano sempre di farsi strada in qualunque consesso umano organizzato. C’è un’evidente carenza di anticorpi, di antivirus, di congegni istituzionali di allarme preventivo, di disincentivo e freno al malaffare.

Va detto anche con chiarezza che sono in molti a nascondersi dietro pseudo-argomenti vischiosi, del tipo: tutte le  “amministrazioni pubbliche” sono coinvolte e la radice della mala amministrazione  sta nelle Amministrazioni centrali, mentre le Autonomie locali sono luoghi della virtù e dell’autonomia, dove “il controllo degli elettori” rende inutili altri presìdi di regolarità. Ora – posto che nei ministeri e negli enti pubblici nazionali non ci sono dei santarelli (vedi su tutti lo scandalo Incalza del 2015 e lo scandalo Balducci del 2010) risulta cionondimeno evidente che – in considerazione del numero preponderante di amministrazioni pubbliche locali  e dell’ingente quota di danaro pubblico da loro gestito –  alcune “falle istituzionali” specifiche si rivelano esiziali, perché aprono vere e proprie autostrade a un numero consistente di soggetti che decidano di delinquere. In queste realtà “prima” dell’intervento della Magistratura non esistono anticorpi istituzionali amministrativi capaci di frenare il malaffare. In proposito concordiamo  con gli argomenti specifici e circostanziati dell’articolo di Bruno Olivieri – pubblicato sul sito dell'”Associazione dei Segretari comunali e provinciali – G.B. Bruno Vighenzi” – vedi qui sotto, dove sono evidenziati due “bachi” legislativi fondamentali: a) la completa eliminazione di qualsivoglia sistema di controllo amministrativo pubblico esterno sugli atti degli enti locali (vedi qui approfondimento), che ha trovato il suo “focus” nella malaugurata abrogazione – avvenuta in sede di riforma dell’anno 2001 del Titolo V della Costituzione-  degli articoli 125 e 130 della Carta  scritta dai nostri Padri Costituenti; b) la precarizzazione selvaggia della dirigenza di carriera  degli Enti locali, arrivata ormai al punto di vedere  l’introduzione per legge – palesemente incostituzionale – avvenuta tre anni fa di una quota del 30% dei posti di dirigenti reclutabili dall’esterno senza concorso pubblico: la dirigenza di carriera   (in primis i segretari comunali che dalle “riforme Bassanini” in poi sono stati man mano depotenziati fino all’ultima tentata eliminazione) in ogni Paese occidentale costituisce il naturale bastione dell’imparzialità e della legalità (nonostante le improvvide dichiarazioni dell’ex Presidente del Consiglio – vedi qui Renzi “da 20 anni la burocrazia blocca con i suoi cavilli il Paese”). Al contrario, il Paese è bloccato da una corruzione diffusa e dilagante, nella quale i “cavilli” – generati dalle troppe e confuse leggi – sono preziosi grimaldelli per politici e burocrati corrotti che vogliano agire indisturbati.

Alle osservazioni precedenti – e non con l’intento comodo di cercare colpevoli, ma per fare chiarezza sui soggetti in campo e sui motivi per i quali le cose prendono una certa piega – va una buona volta aggiunto anche il nome di un soggetto politico importante, di un vero e proprio “potere forte”, che ha accompagnato e promosso da anni questo smantellamento di alcuni presìdi: l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, che raccoglie in sé, da nord a sud, i rappresentanti politici delle autonomie locali. L’ANCI, fermo restando l’utilità e la democraticità della sua difesa dei principi dell’Autonomia dei territori, ha commesso alcuni imperdonabili errori: a) ha abbracciato un concetto malposto di “privatizzazione della pubblica amministrazione”; b) ha nascosto dietro il sacrosanto principio dell'”autonomia” dei rappresentanti delle popolazioni locali un concetto errato che é utile per ben altri scopi: quello della necessità di un rapporto di “fiduciarietà” fra  Sindaco/Assessori e dirigente locale pubblico, sempre sul modello dell’impresa privata. Peccato che l’accostamento  sia fuori luogo, perché il dirigente pubblico non è al servizio del politico ma “al servizio della nazione” (leggasi, quindi, cittadini e interessi generali). Il principio di una burocrazia neutrale e imparziale é presente e applicato in qualunque amministrazione pubblica occidentale (si veda ad esempio l’amministrazione federale U.S.A. – vedi qui).

Con i suddetti assunti politici generali l’ANCI ha accompagnato e promosso tutte le ondate normative della Pubblica Amministrazione degli ultimi 20 anni, con tutto il loro buono ma anche con tanta zavorra: dalla “riforma a Costituzione invariata” dei tempi di Bassanini, alle modifiche del titolo V  della Costituzione, alle modifiche dell’Ordinamento amministrativo degli Enti locali, fino alla recente riforma della dirigenza pubblica, non solo pienamente appoggiata in Parlamento –vedi qui videoregistrazione – ma per la quale fu addirittura richiesto l’allineamento della durata degli incarichi dei dirigenti pubblici al mandato politico degli amministratori, circostanza questa in perfetto contrasto con i principi istituzionali degli Stati occidentali, che prevedono durate non coincidenti con gli incarichi politici.

Sullo sfondo di queste posizioni di principio si allunga come un’ombra un sentimento pervicace e diffuso di diffidenza e insofferenza per tutto ciò che è “Stato centrale” e “burocrazia ministeriale” (che affonda, a sua volta, dritto dritto nella nostra storia patria, fino alle fazioni dell’epoca medioevale) e un concetto di autonomia che tracima troppo spesso in un sentimento di rifiuto di solidi riferimenti a un contesto generale e, privo di regole comuni,  si fa anarchia. Qualcuno in ANCI dovrebbe iniziare a ragionare sul fatto che questi marchiani errori d’impostazione costituiscono la “giustificazione nobile” che fornisce gli strumenti concreti di prepotenza e di sopraffazione che consentono alla cattiva politica – ai tanti “don Rodrigo” che infestano da sempre la nostra storia – di arrecare guasti gravissimi al funzionamento delle istituzioni locali.

Nessuno si sogna di discutere i principi di Autonomia delle popolazioni locali, ma è tempo che qualcuno inizi a riflettere sulle conseguenze dell’insistere su posizioni rivelatesi con evidenza portatrici di molti guai.

Giuseppe Beato

 Luigi Oliveri : nella morsa dello spoils system 

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