Il dibattito sulle pensioni future

Il Presidente del Consiglio Renzi, nel discorso per la fiducia alle Camere, non ha speso una parola sull’argomento pensioni. Eppure si é in presenza di una spesa globale previdenziale nell’ordine dei 250 miliardi annui, ricadente per parte prevalente sulla contribuzione obbligatoria e per una parte non marginale sulla fiscalità generale. Il problema della sostenibilità del sistema pensionistico non è affatto risolto, come non è risolto il tema della capacità delle pensioni future di garantire un tenore di vita adeguato e che possa avvicinarsi a quello fino ad oggi goduto da coloro ai quali è stata liquidata la pensione con il sistema retributivo.

Unici spunti “alla moda” sulla tematica pensioni sono attualmente quelli relativi alle “pensioni d’oro”, lancio giornalistico mai definito finora in termini finanziari (cioè qual’è il limite minimo a partire dal quale una pensione deve considerarsi “d’oro”?): si è accreditato presso l’opinione pubblica un concetto di iniquità e ingiustizia generazionale, confrontando l’importo presumibile delle pensioni “contributive” cui vanno incontro gli attuali quarantenni/cinquantenni con l’importo delle pensioni retributive attualmente in godimento. L’idea conseguente a tale constatazione è stata (vedi ad esempio la proposta di legge Meloni) quella di tagliare le “pensioni d’oro”- anche quelle che d’oro non sono proprio – ritenendo così di ripristinare la giustizia sociale e generazionale attraverso un livellamento in basso di redditi pensionistici non solo alti, ma anche di importo medio.

Chi la pensa così non si dà mai carico di spiegare che i risparmi conseguiti abbattendo le pensioni liquidate col sistema retributivo non risolve nessuno dei due veri problemi strategici in campo: la sostenibilità del sistema previdenziale e il livello di adeguatezza della pensioni future. E se la strada più saggia fosse un’altra? Invece di punire chi ha, magari, 3200 euro di pensione netta (è questa l’importo minimo/soglia delle “pensioni d’oro” di 5000 euro lorde individuato dalla proposta Meloni – vedi Atto camera n. 1253/2013), por mano a misure che garantiscano un a pensione adeguata a chi andrà in pensione in un prossimo futuro col sistema contributivo, all’interno di un sistema di finanziamento supportato dalla fiscalità generale?

In questa ottica di “progetto  di un migliore futuro pensionistico” si é articolato  il  convegno organizzato dall’Associazione “Lavoro & welfare” tenutosi a Roma il 27 febbraio 2014. Al convegno hanno presenziato l’on. Cesare DAMIANO, Presidente della Commissione lavoro alla Camera dei Deputati e l’on. Maria Luisa GNECCHI, componente della medesima Commissione, fautori principali di un “decalogo di proposte”  (vedi qui sotto), fra le quali ci piace evidenziare le due seguenti:

  • garantire un tasso di sostituzione delle pensioni pubbliche future non inferiore al 60%, sommando la pensione liquidata con il calcolo contributivo con una pensione di base finanziata dalla fiscalità generale del valore di 442 euro pari all’attuale assegno sociale e attribuita al compimento del sessantacinquesimo anno di età (pag 3 del documento allegato). Va qui notato che questo supporto della fiscalità generale non innoverebbe nella sostanza ciò che già oggi si verifica nei conti della previdenza, nei quali  una quota parte non marginale della spesa specificamente previdenziale viene finanziata dalla fiscalità generale. L’introduzione di una “pensione di base” finanziata dalla f.g.  porterebbe in trasparenza e chiarezza la questione dei cosiddetti “buchi” di bilancio (vedi qui le gestioni in rosso dell’INPS ) che, non solo nell’ ex INPDAP, ma anche nelle gestioni già INPS, altro non sono se non finanziamenti con i quali la fiscalità generale affianca e supporta le risorse provenienti dalle entrate contributive;
  • stabilire in 5000 euro netti l’importo soglia a partire dal quale una pensione si può definire “d’oro”. Si badi bene 5000 € netti, non lordi, come il vento giacobino, ora di destra ora di sinistra, ha cercato di “spianare” cinquanta anni di legislazione previdenziale pregressa. A partire da tale soglia minima di pensione netta è giusto e corretto chiedere a chi ha di più di contribuire, in una fase di grande crisi quale quella attuale, al finanziamento del sistema Paese. Si vedano in tal senso alle pagine 13 e 14 dell’allegato.

Le due proposte evidenziate ci sono sembrate le più significative in ottica di innovazione del sistema e di equità intergenerazionale e fra diverse classi di reddito, tuttavia sono sulla stessa lunghezza d’onda di flessibilità/armonizzazione/giustizia le proposte relative alla flessibilità in uscita, agli “esodati“, alle ricongiunzioni, e alla perequazione automatica delle pensioni.

Decalogo per le pensioni – febbraio 2014

Ci sembra comunque corretto dare conto in questa sede anche delle proposte – di segno opposto – tendenti ad una “restituzione” di una quota parte di pensione retributiva. Tali proposte sono apparse sul sito Lavoce.info a firma Tito Boeri , Stefano Patriarca e Fabrizio Patriarcavedi qui: Pensioni, l’equità possibile).  Sullo spirito “punitivo” o, quantomeno, “risarcitorio” (risarcimento di cosa, visto che quelle pensioni sono state liquidate in base a norme di legge?) di queste proposte non concordiamo, per il semplice motivo che chi beneficia oggi di una pensione calcolata con il sistema retributivo non può essere messo all’indice, perché egli ha fruito di una legislazione previdenziale estesa in 50 anni di storia di welfare del Paese, sulla quale lo Stato ha costruito un patto con più di quattro generazioni di Italiani. Ma, oltre a questa considerazione di carattere costituzionale e sistemico (onesto rapporto Stato/cittadino), vanno avanzati dubbi specifici sulla reale fattibilità/utilità di calcoli contributivi presuntivi, basati su importi retributivi non presenti nella banca dati INPS , o, peggio, su “forfettoni” i quali, per altro verso, proprio nei casi delle retribuzioni lavorative elevate potrebbero generare importi di pensione addirittura più favorevoli di quelle in essere (si vedano in tal senso le dichiarazioni di Giuliano Cazzola sull’impossibilità del ricalcolo di pensioni liquidate col sistema retributivo).

Un altro argomento che viene raramente collegato alla tematica previdenziale è quello dell’imposizione fiscale sui trattamenti di pensione. Su questo tema un confronto recentemente effettuato dalla Confesercenti (nov 2013) fra il regime fiscale italiano e quelli di altri Paesi europei , di cui questo sito ha dato conto (clicca qui per lo studio della Confesercenti), ha dimostrato che l’imposizione fiscale esistente in Italia sui redditi da pensione è nettamente superiore a quello in vigore in altri Paesi. Risulta quindi necessario considerare  i due aspetti del reddito effettivo dei pensionati italiani dentro un quadro complessivo di riferimento, sia previdenziale che fiscale.

il dibattito sulla previdenza, come si vede, è ancora apertissimo.

Giuseppe Beato

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