I fatti del Comune di Roma e il ruolo di supplenza istituzionale dell’Autorità Anticorruzione.

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Nelle note ultime vicende della Giunta Raggi del comune di Roma – astenendoci da qualunque commento di carattere politico-partitico – segnaliamo un aspetto istituzionale  entrato nella vicenda: le ripetute “richieste di parere” – rivolte all’Autorità Nazionale Anticorruzione sulla legittimità o meno delle nomine di Raffaele Marra, Salvatore Romeo (vedi qui) e del Magistrato Carla RainerI (vedi qua). Ferma restando l’assoluta  legittimità dell’espressione di tali pareri ( si veda in proposito il  Regolamento ANAC del 14 gennaio 2015 concernente le modalità operative per l’esercizio della funzione consultiva), tuttavia ci pare che il legislatore abbia sovraccaricato l’ANAC di una serie di compiti che ne manifestano un ruolo (oggi purtroppo necessario) di supplenza rispetto a funzioni che dovrebbero essere svolte da altri organi pubblici. Chiedere all’ANAC di esprimere “parere” sulla legittimità o meno di un atto di nomina o di incarico in uno degli 8.000 comuni italiani significa polarizzare su un’entità già sovraccarica e operativa a valere su tutto il sistema amministrativo nazionale compiti che nelle Amministrazioni statali e nelle Amministrazioni pubbliche “cui lo Stato contribuisce in via ordinaria” (vedi qui legge_21_marzo_1958_259 e articolo 6 del d.lgs n. 479/1994) vengono svolti ordinariamente dagli Organi di controllo esterni. In INPS, in INAIL o in un Ministero  – tanto per essere chiari – sono Organi di controllo istituiti ad hoc che valutano (ed eventualmente sindacano) sulla legittimità degli atti dell’Amministrazione pubblica controllata, tenendo informati i Ministri e il Parlamento.

Perché ciò non è possibile nelle Amministrazioni comunali? Semplice! Perché le Amministrazioni comunali non hanno più da 15 anni un qualsivoglia sistema di controllo pubblico esterno sugli atti. Questa é una realtà stupefacente di cui l’opinione pubblica non é generalmente a conoscenza, ma che ha inferto – secondo chi scrive – un vulnus mortale alla regolarità del funzionamento delle Amministrazioni pubbliche comunali e regionali. Fuori dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori, sono in pochi a sapere che la riforma del Titolo V della Costituzione varata nell’anno 2001 con Legge Costituzionale n. 3 abrogò sic et sempliciter gli articoli 125 e 130 della vecchia Carta costituzionale – quella sì scritta dai Padri Costituenti. Cosa prevedevano questi due articoli? La presenza di organi pubblici di controllo degli atti delle Regioni (vedi il soppresso articolo 125) e dei Comuni (vedi il soppresso articolo 130)….. Nessuno si è sognato di riproporli con la recente fallita  proposta di riforma costituzionale  “Renzi-Boschi”.

Porre la questione del sistema dei controlli in un panorama istituzionale in cui sono preponderanti le correnti di idee dei politici del Territorio significa subire l’ostracismo e/o l’accusa di “lesa autonomia” e di difesa dello Stato centralista e burocratico. Eppure nessun Paese occidentale avanzato opera senza un sistema di controlli esterni sugli atti di tutte le sue Amministrazioni pubbliche (si può approfondire in tal senso attraverso uno studio condotto dal Servizio Studi del Senato – Sistema di controlli dei Paesi occidentali – clicca qui).

Si tratta di capire: a) quale siano le forme più adatte a non incidere sull’efficienza della macchina amministrativa: in questo senso, va assolutamente evitata la riproposizione degli antichi controlli preventivi che bloccavano l’emanazione degli atti senza responsabilizzare colui che operava il “fermo” dell’atto posto in esame; b) come superare la falsa verità sull’efficacia dei “controlli interni” o dei sistemi di “autocontrollo” che dir si voglia: i controlli pubblici “veri” non possono che essere quelli “esterni”, cioè demandati a soggetti pubblici non subordinati ai vertici politico-amministrativi delle Amministrazioni da controllare;  c) quali siano le modalità più adatte e il tipo di soggetti controllanti tali da operare in forme rispettose delle Autonomie; d) collegare strettamente il controllo degli atti pubblici con concrete operazioni di trasparenza istituzionale. In questo senso, al di là di qualunque norma o codicillo apparsi in materia negli ultimi anni, rimane latitante un semplice adempimento: la pubblicazione sui siti istituzionali della copia di tutti gli atti di preposizione agli incarichi e di tutte le decisioni di concessione di appalti e di spesa pubblica: in questo senso appare  ridicolo che siano stati necessari dei veri e propri accessi ispettivi della Guardia di Finanza sugli uffici del Comune di Roma per acquisire gli atti di nomina  di Raffaele Marra, Daniela Frongia e Salvatore Romeo (vedi qui).

Non c’è più tempo da perdere: tutta una serie di scandali e di malversazioni potrebbero essere evitati in presenza di sistemi di controllo esterni, all’atto non esistenti. In tal senso l’affidamento all’ANAC di un carico – peraltro solo “consulenziale” – di lavoro eccedente le forze e l’organizzazione attuale significa effettuare un’operazione d’immagine, basata sul grande prestigio di cui tale Autorità gode, ma senza gli indispensabili requisiti di riflessione completa e di ridisegno istituzionale e organizzativo.

Giuseppe Beato

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