Corpo dei vigili urbani e Ospedale Spallanzani di Roma: perché la “mala pa” fa più notizia della buona Pa?

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C’è – ci dovrebbe sempre essere, ma molto spesso  non c’è – un elemento che distingue la natura del lavoro pubblico da quello svolto dai privati: al lavoratore pubblico, meno soggetto degli altri lavoratori agli alti e bassi del mercato, la gente chiede, in cambio della maggiore stabilità del posto di lavoro, un elemento di qualità superiore al resto dei lavoratori: l’etica del servizio pubblico. Definire questo elemento porterebbe via pagine e pagine, ma é molto più semplice osservare che quest’etica la si può chiaramente leggere negli occhi di chi con orgoglio e convinzione non si tira mai indietro all’idea di rendere un servizio, di svolgere un lavoro che richieda un sacrificio “ulteriore” rispetto a quello ordinariamente atteso su un piano meramente “contrattuale” per l’incarico pubblico assegnato. Un lavoratore pubblico “dà di più” quando è necessario, semplicemente perché ciò è connaturato a quell’idea di “servizio pubblico” che è il “di più” che gli si chiede. L’Italia è piena di operatori pubblici che lavorano così.

Eppure, nell’evidenza delle notizie che “fanno colpo” sull’opinione pubblica, Il Corpo dei vigili urbani di Roma (non nuovo a comportamenti “anomali”, vedi l’articolo di Alberto Statera su  “la Repubblica” “GLI INSUBORDINATI E LA TRIPPA PER GATTI “) fa più notizia dei medici e degli infermieri dell’Ospedale Spallanzani, pure di Roma, che hanno curato Fabrizio Pulvirenti, malato di ebola (Vedi“Il Papa si congratula con i medici e i sanitari dell’ Ospedale Spallanzani impegnati con eroismo quotidiano”). L’idea che  questa attenzione diversa dell’opinione pubblica  sia determinata solo da un approccio demagogico  – tweet del Presidente del Consiglio, dichiarazioni di Brunetta, pezzi di colore dei giornali in genere – non ci convince.

Certo, chi qualifica l’amministrazione pubblica guardando solo ai suoi aspetti degenerati offusca irreparabilmente l’immagine dell’impiego pubblico e dei suoi lavoratori. Tuttavia c’è qualcosa di più strutturale dietro il prevalere dell’attenzione sulle mele marce, invece che verso i tanti che svolgono il loro dovere (i poliziotti in servizio nei quartieri più a rischio, i carabinieri in servizio d’ordine pubblico che non reagiscono agli insulti e agli sputi, gli infermieri e i medici che ordinariamente lavorano di notte o nei pronto soccorsi, gli insegnati malpagati che non rinunciano a portare avanti la propria missione educativa, i vigili del fuoco, etc). Perché prevale allora l’attenzione sui “cattivi”, pure presenti in tutti gli ambiti del pubblico impiego? Secondo noi, ciò dipende dal fatto che c’è un vizio di fondo del sistema attuale del lavoro pubblico: l’assenza totale dell’etica della valutazione. L’onda anomala della sacrosanta lotta per la tutela dei diritti si è tradotta negli ultimi venti anni nel pubblico impiego in un rifiuto generalizzato di accettare un’idea semplice, chiara anche ai bambini che frequentano le scuole elementari: valutare ed essere valutati. L’etica del servizio pubblico non può prevalere se non è accompagnata dall’altra regola della tutela e del riconoscimento dei buoni comportamenti, parallela alla severità nel giudicare, emarginare e licenziare chi ogni giorno con protervia, arroganza e delinquenza fa strame dell’etica del lavoro e del servizio pubblico. Se non c’è valutazione, la buona fede e l’alto senso etico di chi opera con sacrificio nelle pubbliche amministrazioni rimangono relegati alla buona volontà e al profilo morale dei singoli che la pongono in essere. Per diventare SISTEMA le buone pratiche dei più hanno necessità di essere ricondotte ad un criterio generale di funzionamento degli uffici in cui si sappia tutti (operatori e cittadini) che chi opera bene è tutelato e riconosciuto, mentre chi si fa beffe dell’etica di servizio viene messo alla porta.

Le disposizioni di legge per applicare questo principio ci sono già. E’ necessario, tuttavia, avviare una riconversione  della politica, dei sindacati, della dirigenza e dei lavoratori pubblici verso la convinzione operativa che queste leggi vanno applicate. Da questo punto di vista vediamo uno spiraglio di luce finalmente nitida nelle dichiarazioni di Rossana Dettori, responsabile nazionale della CGIL funzione pubblica (vedi qui)che, forse per la prima volta, abbandona l’idea della difesa “a prescindere” dei “diritti” e qualifica il ricorso pretestuoso allo sciopero selvaggio, alle donazioni di sangue, alle “tutele  di legge” per quello che sono: dei miseri pretesti per non fare il proprio dovere.

Non è utile far rullare i tamburi per annunciare la pur necessaria riforma della pubblica amministrazione. Si tratta, più efficacemente, di sostenere nell’immediato –  pubblicamente e individualmente – l’azione di coloro i quali dentro le pubbliche amministrazioni cercheranno di dare attuazione alle leggi esistenti: il criterio della valutazione va applicato dall’interno della pubblica amministrazione, facendo riferimento alle forze sane che in grande numero vi operano. In ciò sono necessari coraggio e determinazione. Dall’esterno, al posto degli annunci, arrivino appoggi istituzionali e concreti a chi si muove nella direzione necessaria.

 

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