Quale 2013 per le Pubbliche Amministrazioni

La sfida del fiscal compact inizia con l’anno ora in corso. Il ruolo e i compiti delle Pubbliche Amministrazioni.

QUESTO SITO, QUEST’ANNO

L’ anno appena iniziato sarà un anno di svolta, forse decisivo per le sorti del Paese. Ci sarà un nuovo Parlamento, una nuova maggioranza politica, un nuovo Governo. Quel che ci preme evidenziare è che sarà un anno di svolta anche per la riforma amministrativa. Necessariamente,  perché siamo obbligati a ciò dagli impegni assunti in Europa e dalla conseguente legge costituzionale n. 1 del 2012, sull’ equilibrio di Bilancio. A questa si è aggiunta la “ legge rinforzata “ di attuazione della medesima, approvata in via definitiva al Senato il 20 dicembre, senza particolari discussioni e nella totale indifferenza della stampa.

Secondo queste leggi, tutte le Amministrazioni, centrali e locali, devono assicurare l’ equilibrio di bilancio, ovvero che il saldo strutturale tra entrate e uscite, al netto di eventuali misure straordinarie necessarie a correggere gli effetti del ciclo, corrisponda ai criteri definiti in sede di Unione Europea. In sostanza, significa che dal 2013 i bilanci di tutte le PP.AA. dovranno essere, più o meno, in pareggio; inoltre, che dal 2015 dovremo cominciare a ridurre lo stock del nostro debito pubblico con l’ obiettivo di portarlo al 60 % del P.I.L., in venti anni. Il debito, oggi, è di circa 1982 mld di €, pari al 126 % del P.I.L. ( circa 1572 mld. ).

La riduzione del debito dovrebbe avvenire in buona parte attraverso la dismissione del patrimonio immobiliare, ma le cifre ipotizzabili sono molto lontane dai miliardi necessari per l’ obiettivo del debito al 60 %. Ovviamente, non si può pensare ad un ulteriore aumento della pressione fiscale complessiva; una eventuale tassazione dei grandi patrimoni, insieme al doveroso, ulteriore recupero dell’ evasione fiscale, dovrebbe in buona misura andare a coprire una riduzione dell’ imposizione su lavoro ed impresa.

Perciò, siamo di fronte alla necessità di ulteriori, ripetuti e consistenti tagli alla spesa pubblica. Nel 2011 il sistema pubblico ha speso circa 798 mld., ovvero intorno al 51 % del PIL, poco al di sopra della media UE. Ma se consideriamo la spesa “ primaria “, ovvero al netto degli interessi sul debito, siamo al di sotto della media UE; ciò, perché abbiamo già operato forti riduzioni di spesa, tanto che si prevede, già nel 2013, di arrivare al pareggio tra spesa primaria ed entrate, ovvero al pareggio del saldo strutturale di bilancio.  Così, saremmo in linea con quanto previsto dalla UE e dalla nuova normativa costituzionale. Resta lo stock del debito, da ridurre come s’è detto. Restano anche gli effetti recessivi dei tagli, e resta l’ esigenza di avere risorse fresche per far ripartire l’ economia.

Dunque, ulteriori riduzioni di spesa pubblica. Non può certo bastare il taglio dei costi della politica, pur necessario, ma che, per quanto incisivo possa essere, si colloca nell’ ordine delle centinaia di milioni, non dei miliardi. Il taglio delle retribuzioni e delle pensioni dell’ alta burocrazia, già operato, ha portato risparmi dell’ ordine delle decine di milioni; rispetto ai miliardi, siamo su tutt’altra scala. Occorrono operazioni di portata ben più ampia. La precedente politica di tagli orizzontali ha innescato la recessione più grave degli ultimi decenni ed ha disastrato la spesa sociale del nostro Paese. Colpendo alla cieca, ha tagliato i servizi pubblici a famiglie ed imprese lasciando spesso intatti gli sprechi, ben difesi dai rispettivi beneficiati. L’ attuale Governo ha inteso sostituirvi la spending review, ovvero una politica di revisione della spesa mirata a tagliare solo sprechi ed eccessi. In realtà, gli interventi realizzati finora sono stati assai più prossimi ai tagli orizzontali che ad operazioni di tipo qualitativo. In ogni caso, una spending review ispirata a criteri contabili, come il tagliare le spese di un certo tipo che siano, per una certa amministrazione, al di sopra della media generale, può condurre a risultati assai negativi, come quelli prospettati dai piani di Bondi, Commissario alla spesa sanitaria del Lazio, per alcuni ospedali romani.

L’ alternativa c’è. Per evitare ulteriori effetti negativi sulla vita del Paese, o magari per realizzarne di positivi, diviene centrale la qualità della spesa, ovvero delle singole politiche di spesa, e dunque la qualità dei meccanismi di funzionamento degli apparati pubblici, nella produzione dei servizi e nell’ espletamento delle funzioni. La crisi globale richiede, infatti, un Big Government nei singoli Paesi, con politiche pubbliche meditate e ben applicate, che impattino efficacemente e tempestivamente sui fenomeni sociali ed economici. Perciò, amministrazioni che funzionino, al centro e alla periferia.

Non è solo questione di tagli. La spending review  è certo decisiva, ma va operata caso per caso, ente per ente, tagliando col bisturi e non con l’ accetta.  Comunque, non basta. La coalizione di centro sinistra propone “ Piani industriali “ per tutte le amministrazioni pubbliche. Al di là dell’ imprecisione dell’ aggettivo, il “ Piano industriale “significa una ristrutturazione profonda di ogni apparato, che lo renda rigorosamente funzionale ai servizi dovuti a cittadini ed imprese. Rispetto alla spending review si pone come un momento iniziale,  che investe innanzitutto l’ organizzazione, mentre l’ altra è un processo continuo, che anno dopo anno rivede le diverse voci di spesa. Tuttavia, Piani industriali e spending review possono ben considerarsi come aspetti complementari di una medesima politica di riforma, che investa tutte le amministrazioni considerandone le specificità e seguendo alcune direttrici fondamentali.

La prima direttrice è sicuramente quella della riforma del Bilancio. Come sappiamo, la legge 196/2009, che si proponeva un parziale superamento del Bilancio per rubriche e capitoli in direzione di un Bilancio funzionale, per missioni, programmi e progetti, è rimasta ampiamente inapplicata per la mancata emanazione di alcuni dei decreti delegati previsti. Ora, la nuova  legge costituzionale e la conseguente legge rinforzata offrono la possibilità di un ulteriore intervento riformatore sui Bilanci delle pp.aa. La Corte dei conti, nella Relazione sul rendiconto 2011, dopo aver criticato a proposito dell’ ordinamento contabile le anomalie e i limiti della tradizionale gestione di competenza giuridica, ha prospettato il passaggio dei Bilanci delle pp.aa. al criterio della competenza economica, sulla base del Sistema Europeo dei Conti ( SEC ‘ 95 ). La competenza economica – va detto – rileva il valore dei beni e servizi forniti dal settore pubblico, complessivamente e per i singoli apparati ed uffici, e dunque del relativo impatto sull’ economia reale. Riforma importante, dunque, che va nella direzione giusta, e che sarebbe sollecitata, anch’essa, dal processo di integrazione europea. Ma che, in tutta evidenza, comporta il superamento della monocultura giuridico-amministrativo-contabile, ancora dominante nei Gabinetti ministeriali.

Un ulteriore elemento, che abbiamo già considerato su questo sito, consiste nell’ avvio di un Sistema informativo integrato sulle performance finali delle pubbliche amministrazioni verso i cittadini e le imprese, messo in opera da parte dell’ ISTAT insieme al CNEL ( vedi Relazione 2012 del CNEL sulla qualità dei servizi pubblici  – art. 9 legge 15 dl 2009 ). Questo Sistema, in via di completamento, consentirà di superare il gap informativo sui risultati delle diverse attività amministrative, fondando su basi obiettive ogni valutazione relativa alle medesime.

Tutto è in movimento. Lo scopo sociale di Etica pubblica, ovvero l’ affermazione nelle PP.AA. del primato dei servizi da rendere al Paese rispetto alle vecchie logiche autoreferenziali, fino ad ieri era poco più di un’utopia, recepita da alcune affermazioni legislative di principio rimaste sostanzialmente inapplicate. Nel 2013 è diventata una necessità. Il sito nasce in questa situazione per contribuire alla svolta, attraverso l’ informazione, la discussione, la denuncia. Mirando, soprattutto, alla maturazione di una nuova consapevolezza collettiva dei dirigenti e dei funzionari pubblici, che le politiche di riforma dovranno realizzarle con il loro impegno quotidiano.

 

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